Il coraggio del "cinema dalle finestre che ridono" di Pupi Avati

(di LUCA RAIMONDI) - Dovessi ridurre l'horror italiano degli ultimi trent'anni a pochi nomi, ecco i primi che mi verrebbero in mente: Eraldo Baldini, Dario Argento, Tiziano Sclavi, poi una sfilza di nomi con cui ho recentemente collaborato (da Danilo Arona a Nicola Lombardi) e infine indicherei sicuramente Pupi Avati. Un nome che mi sovviene sempre in ritardo, in questo tipo di elencazione, soprattutto per il fatto che la componente horror del cinema di Pupi Avati è di certo minoritaria rispetto a tante altre prove in generi ben diversi, come ben sapete, legati alla memoria, al ricordo, all'infanzia. Sia pure con una certa esitazione iniziale, alla fine Pupi Avati lo inserirei sempre e comunque. Non tanto o non solo per "La casa delle finestre che ridono", che pur essendo uno dei film più paurosi del cinema italiano non presenta comunque nulla di sovrannaturale e si colloca piuttosto nel filone dei primi thriller argentiani, varianti del giallo tradizionale pi...