Quella casa nel bosco di Aus: ricordando Chiara Palazzolo
(di SALVO SEQUENZIA) Come in ogni
buon horror che si rispetti,
all’inizio c’è sempre una casa. Nel nostro
caso, c’è una villa al limitare del bosco, dove Carla va a vivere insieme al
marito e ai tre figli.
Già Poe, ne La
caduta della Casa Usher (1839), metteva «in guardia da posti da tal genere». Le case nascondono quasi sempre segreti, misteri, oscure presenze.
Anche la villa di Carla nasconde qualcosa, ed una gatta parlante ne custodisce i terribili segreti.
Nel visionario
e agghiacciante racconto di Lovecraft I ratti dei muri (1924), il protagonista sente la casa infestata dai ratti
e scopre un antico segreto di famiglia insieme alla presenza di Nyarlathotep, il dio del «Caos strisciante», una entità di
distruzione e di morte che dimora nella casa.
All’origine dell’archetipo
della “casa infestata” vi è Strawberry
Hill, la villa di campagna che lo scrittore inglese Horace Walpole acquistò
nel 1747, quattordici anni prima di pubblicare Il castello di Otranto (1764), considerato la prima gothic story della letteratura moderna.
La villa, come il castello, è la porta attraverso cui il soprannaturale irrompe nella realtà quotidiana con la sua legione
di incubi, mostri, creature infere minacciose ed ostili. Se ne ricorderà Ann
Radcliff nel suo I misteri
del castello d'Udolpho (1875), romanzo che codifica un immaginario del maleficio, della caduta e della rovina di cui le dimore
perdute nei boschi, i castelli diroccati
e le sinistre abbazie del romanzo gotico sono una delle più potenti espressioni
che felicissima fortuna avranno, in seguito, tanto nella letteratura quanto nel
fumetto e nel cinema horror: basti
pensare, solo per fare qualche esempio, a The
Shining (1980), film horror di
Stanley Kubrick nato dal romanzo di Stephen King, nel quale l’Overlook Hotel,
un albergo di montagna che durante l'inverno rimane isolato dal resto del
mondo, rivela un oscuro passato.
La scrittrice
Chiara Palazzolo amava i boschi e li frequentava assiduamente, alla ricerca di
ispirazione. Con i boschi, con la loro “aura” e
le loro suggestioni Chiara Palazzolo aveva intessuto un menage che
dalla vita rimbalzava nella sua scrittura, depositandosi in una narrazione di
forte impatto ed in una capacità di raccontare “favolosa” che al bosco, alle
sue creature ed alle sue leggende attingeva un ricco repertorio metaforico e
simbolico, complice la lettura dei grandi classici della letteratura horror, gothic
e fantasy.
Una immensa
quantità di materiali riguardanti la «letteratura
d’abiezione» ha ispirato alla scrittrice storie visionarie in cui rivivono
fantasmi, streghe, “sopramorti” e personaggi turbati da malesseri e da angosce
ancestrali che popolano l’universo narrativo di Chiara
Palazzolo, da I bambini sono tornati
(2003) a Nel bosco di Aus (2011), passando per la fortunata
trilogia di Mirta-Luna, l’eroina “gotica” uscita fuori da un video game protagonista dei romanzi Non mi uccidere (2005), Strappami
il cuore (2006) e Ti porterò nel
sangue (2007).
L’opera di Chiara
Palazzolo rappresenta una profonda rivisitazione del genere fantasy, che la scrittrice ha innovato
“dal di dentro” importando non solo elementi del genere horror classico ma anche strutture, funzioni e temi appartenenti a
generi letterari antichi e moderni radicati nell’immaginario narrativo della
tradizione europea e nelle tendenze delle nuove generazioni.
Una scrittura
felice, venata di sfumature colte e aperta alla sperimentazione, unita a una
grande capacità di raccontare la contemporaneità costituiscono la cifra
saliente dell’opera di Chiara Palazzolo, insieme alla capacità di muoversi su
più registri linguistici, secondo una modalità “polifonica” - anzi, “dodecafonica” - che conferisce alla
scrittura stessa un sapore acido e ferroso, un ritmo dissonante e sincopato.
Le storie di
Chiara Palazzolo piacciono al pubblico. I suoi libri sono trasversali alle generazioni, alle tendenze, ai gusti e alle
preferenze dei lettori.
Il segreto di
questa fortuna letteraria consiste nella lingua e nello stile, che richiamano
tanto Savinio, Calvino, Buzzati, Landolfi e la linea del «fantastico e surreale italiano» (Lazzarini, 2008), con la sua
lingua di tradizione colta
otto-novecentesca, quanto il neostandard linguistico di oggi, una lingua franca
sciolta dalle convenzioni, immediata ed efficace, che riflette perfettamente la
società in cui viviamo, ricca di stimoli e di input. È la lingua dei social
e di WhatsApp, legata alle forme
sincopate della dimensione virtuale della gamification
e dell’interattività e alla lingua meticcia colta ed esclusiva dell’universo dark, che passa attraverso l’heavy metal, il death metal, il black metal e le deflagrazioni
dell’universo rock - d’altra parte,
il «rock
è sempre stato la musica del
diavolo» (Bowie, 1976) – con interazioni fra immagine, suono e discorso umano,
fra strutture linguistiche,
musica
sperimentale e sinfonica, fra letteratura, filosofia e cinema che tanta parte
hanno nell’universo smart dei
giovani.
Al suo ultimo
romanzo, Nel bosco di Aus, scritto
strappando alla eccezionalità della dimensione della malattia una visionaria
dimensione onirica ricostruita dentro un bosco popolato di misteriose presenze - Aus,
contrazione di Abyssus - Chiara
Palazzolo affida il suo ultimo messaggio
prima della sua prematura scomparsa, che avverrà il 4 agosto del 2012.
Nel bosco di Aus rivisita tutti i modelli, i temi e le
immagini riferite al bosco, che la scrittrice eredita dalla tradizione
letteraria occidentale, dal medioevo alla grande narrativa del Novecento, primi
fra tutti Buzzati e Calvino.
L’immaginario
legato al bosco rappresenta senza dubbio un tema affascinante per l’uomo
contemporaneo. Esso ci riporta suggestivamente ai primi versi delle Correspondances di Baudelaire e al
luogo magico e incantato del Medioevo e del genere fantasy, che oggi ha tanta fortuna, soprattutto cinematografica.
La protagonista
del romanzo, Carla, sogna di fuggire dal caos della vita metropolitana
rifugiandosi in un bosco. Il suo sogno si avvera quando finalmente trova una
bellissima villa che fa per lei e la sua famiglia, che sorge al limitare del
bosco di Aus, un luogo di pace e di serenità che ben presto, però, per Carla si
trasforma in ben altro.
In questo nuovo
posto la donna stringe amicizia con Amanda Satriani, potente signora
proprietaria della collina dove si trovano altre splendide ville ed un castello
inaccessibile che sembra trasparente.
Amanda invita Carla a giocare a burraco con le sue
amiche. Quegli incontri, prima episodici, si trasformano ben presto in appuntamenti
inderogabili. Le partite si trasformano in sfide pullulanti di perfidi inganni La quotidianità, con la sua routine e le sue maschere, rivela alla
fine il suo volto malvagio.
Il bosco si
trasforma in un luogo abominevole: cerchi di funghi sono in realtà cerchi delle streghe, ombre
inquietanti e fantasmi affiorano dal passato, insieme a possessioni e a patti
con il diavolo in partite a burraco in cui ci si gioca la vita. In questo inferno, una vecchia strega, «brutta come la fame», che solo Albertino,
il figlio più piccolo di Carla, riesce a vedere, cerca di salvare la sperduta
famiglia dallo scontro con altre potentissime streghe. Non esistono le streghe
vere, come afferma Carla; o invece esistono, come decreta Amanda: esse non sono
mostri crudeli, ma donne che cercano di approfondire le loro capacità quando
sprofondano nella disperazione. Al centro di questa dimensione infera si erge
una entità malvagia e antica, «Ecate, l’eterna
clandestina che si muove fra più mondi», la creatura che incede tra cani
feroci che le fanno corteggio. Dea della notte e della luna. E della morte.
In un tragico
duello finale di magia, che ha per posta la vita di Albertino, il mistero che
avvolge la storia sembra diradarsi. I corpi si fronteggiano sino a un esito
imprevisto. «È nel corpo che risiede il
potere» - ammette Carla - «perché a
questo servono i corpi – a lottare».
Come Lovecraft,
Chiara Palazzolo nella sua ultima storia attinge alla mitologia classica
affidando alla sua scrittura una delle creature più crudeli e maligne che
l’umanità abbia mai concepito, la dea Ecate, signora del regno dei morti, stabilendone la sede in quel bosco che
diviene l’Abisso dove regna la
perdizione. Per la scrittrice quel bosco rappresenta una metafora della contemporaneità, luogo
dell’abietto dove il significato collassa e dove l’uomo rischia di smarrirsi e
di perdersi, non riuscendo più a controllare le proprie facoltà, i propri
poteri, il proprio istinto.
Nel mondo
descritto da Chiara Palazzolo nel suo ultimo romanzo non c’è più integrazione, non
c’è assimilazione possibile. È un mondo in cui solo i più forti sopravvivono e
dominano, mentre i deboli sono destinati a soccombere, a divenire schiavi di
potenze più grandi di loro o a esserne travolti, in un processo di abiezione
che, nel suo ribaltarsi in un giuoco di ambiguità perverso e infinito - di cui
è metafora il burraco - può divenire un alibi, risucchiando la vita nel gorgo del’abietto.
I personaggi
cui Chiara Palazzolo ha dato vita e storia in questo romanzo sono creature reiette, gettate nel mondo e in
constante balia dell’abiezione, smarrite, che traggono dal loro vagabondare
quella che Lacan definisce la jouissance,
uno stato di perenne euforia in cui la ragione deraglia e si eclissa per sempre, dove oscurità e luce
propiziano l’avvento di una dimensione altra, sempre attesa e sempre mentita, dove
vita e morte sono solo vane parvenze.
Perché il luogo della
scrittura è il solo luogo in cui vi può essere sempre la certezza di un inizio
e di una fine.
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