Halloween e la paura di morire: L'albero stregato di Ray Bradbury

(di DEBORAH MADURINI) -“E la piccola città era anche piena di... Ragazzi. Ed era il pomeriggio della vigilia di Ognissanti.” 
E' ottobre, lo sarà fino a mezzanotte. L'autunno, con il suo profumo di foglie secche e fiori appassiti riempie ogni anfratto della città ed il sole, dietro le nuvole, si sta ritirando per lasciare il posto ad una fredda oscurità. 
La notte è vicina... La Strega, il Cavernicolo, lo Scheletro, la Grottesca, l'Accattone, la Morte, la Mummia e qualcun altro di altrettanto orribile sono pronti per gettarsi sulle strade, lui li sta aspettando. Lui, l'albero di Halloween. 
Non c'è più tempo, dobbiamo seguirli o ci perderemo la fantastica avventura. Avremo paura? Oh, certo che ne avremo! Ma solo se saremo capaci di risvegliare il bambino che, dentro di noi, trema ancora al pensiero della “cosa in cima alle scale”. 
E parlando di bambini che si celano dentro a corpi ormai adulti come possiamo non pensare al nostro Pascoli? Esatto, proprio lui, il grande della nostra letteratura che pensava che, per svelare i misteri con cui l'uomo è costretto a confrontarsi nel corso della sua vita, non servisse la mente adulta e odiosamente razionale dei "grandi", ma l'ingenuità e la fantasia dei fanciulli. Il nostro poeta, esattamente come Bradbury, ci insegnava, e ci insegna, che solo rapportandoci col mondo in modo intuitivo sapremo cogliere l'essenza delle cose, il segreto che esse nascondono. Di una cosa siamo certi: Ray la pensava esattamente allo stesso modo.
Potremmo dire che L'albero stregato (The Halloween Tree il titolo originale) di Ray Bradbury è una bella favola per bambini, una di quelle che non fanno dormire la notte, ma non sarebbe del tutto giusto; no, perché quello di Bradbury è un meraviglioso racconto senza età che ancora oggi sa toccare dolcemente, e con un pizzico di nostalgia, il cuore di grandi e piccini. Una storia che racconta ai più piccoli che cos'è e com'è nata l'affascinante festa di Halloween, un viaggio attraverso le ere che di certo non li lascerà indifferenti, ma è anche un lungo racconto tra le cui splendide pagine ognuno di noi può ritrovare la gioia semplice e lo stupore che lo infiammavano da bambino. 
Lo sappiamo bene, Bradbury non è mai “diventato grande”, o meglio, lo è diventato come solo gli eterni bambini lo sanno fare: con amore, entusiasmo, fantasia e semplicità. Non stupisce, allora, che ne L'albero stregato tutto questo appaia moltiplicato al quadrato e non ci stupiremo neppure se, a lettura terminata, ci prenderà una strana voglia di lanciarci a correre per i campi con un lecca-lecca stretto tra le mani, alla ricerca di assurdi misteri e spaventati dai nostri mostri immaginari. 
Otto bambini, nascosti dentro ai loro terribili costumi, sono pronti per la magica notte, ma qualcosa non va, manca qualcuno all'appello: Pipkin. Il loro amico, lo scopriranno presto, sta lottando tra la vita e la morte e soltanto loro, quegli otto entusiasti ragazzini, potranno decidere la sua sorte. Così sarà proprio in un viaggio attraverso epoche lontane al seguito di Buonapace Clavicola Sudario, una sorta di scheletro in abito nero, che gli amici inseguiranno il piccolo Pipkin fino a regalargli ciascuno un anno della propria vita per strapparlo alla morte. Ma prima i ragazzi scopriranno il senso vero della festa fatta di zucche, mostri e fantasmi che amano tanto grazie all'incontro con antichi Egizi, Greci, Romani e druidi Celti per arrivare, infine, in Messico nel Giorno dei Morti a sgranocchiare teschi di zucchero. 
Come già accadeva per Il popolo dell'autunno, questa de L'albero stregato è una dolce metafora del diventare grandi tra paure, amicizia ed entusiasmo ed è il tentativo, peraltro riuscito, di esorcizzare la morte imparando a conoscerla. Un'altra preziosissima perla del nostro amato Ray che ha sempre guardato alla notte di Halloween, e alla vita in generale, con gli occhi di un bambino e che ancora oggi, ne siamo sicuri, sorride, ovunque egli sia, sorseggiando bibite alla salsapariglia.

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