I MISTERI DEL MONDO SOTTERRANEO: ALLA SCOPERTA DELL'UNIVERSO CREATIVO DI DOMENICO CAMMAROTA

(a cura di GIUSEPPE MARESCA) - Se qualcuno mi chiedesse di iniziare un discorso su Domenico Cammarota, mi verrebbe subito in mente l’incipit di quel capolavoro di Carpenter che è “Grosso Guaio a Chinatown”, quando Victor Wong mostra a un incredulo procuratore distrettuale una piccola magia dicendo: “Visto? E questo è niente, ma è proprio dal molto piccolo che nascono le cose più importanti!” Quando ho iniziato a scrivere su questo blog, avevo ben in mente il perché abbia dedicato la gran parte della mia vita all’horror all’italiana. E contrariamente al percorso di molti, che iniziano prima col cinema e poi magari si spostano alla letteratura, per me il percorso è stato all’inverso. Quando esisteva il mercato delle vhs in videoteca, non c’era internet e trovare un film di Fulci, Massaccesi o Deodato (per tralasciare Lenzi e tutti gli altri) era di una difficoltà pari o superiore all’impresa di Giasone nella ricerca del Vello d’oro; ma c’erano i buoni, vecchi libri. In libreria, in edicola, o in bancarella, con poche lire ti portavi a casa testi di una potenza immaginifica di cui oggi non ne sono rimaste neanche le vestigia, se si fa un giro nei suddetti posti. Nell’estate tra gli undici e i dodici anni, in una divertente circostanza di cui probabilmente parlerò in un secondo tempo, mi imbattei in uno di questi volumi in cui c’era, tra tanti autori stranieri, il racconto di un italiano: un certo Domenico Cammarota. Il racconto era bellissimo, ricchissimo, ma soprattutto spaventoso, perché ambientato in Italia e più precisamente in Sicilia. Per me fu una rivelazione, così iniziai a cercare in maniera rocambolesca tutto ciò che questo misterioso cantore dell’horror fantasy italiano aveva scritto. Passa il tempo inesorabilmente, cambiano mille cose nella mia vita, gli anni si fanno sempre di più, e con loro si perde un po’ per strada il gusto per la meraviglia e il proibito, poi arrivano le ragazze, l’università, il lavoro e si ha sempre meno tempo per la fantasia. Ma qualcosa di quei racconti mi è sempre rimasto, quel Domenico Cammarota, napoletano come le mie origini, che insieme a Barker, Lovecraft, Howard, i fumetti e i film mi aveva insegnato anche lui il gusto per la meraviglia, è rimasto in un posto segreto del mio cervello e su uno scaffale della libreria in mezzo a mille altri libri ma in un posto speciale, da andare a riprendere almeno una volta l’anno quando si vuole tornare piccoli teppisti (Esenin docet) di undici anni per i quali il concetto di “morale” o “responsabilità” sono termini da ricercarsi sul dizionario (se non lo avevi usato coi libri di scuola per farci gli ostacoli nelle corse con le bici). Così, qual è stata la mia sorpresa quando qualche giorno fa, l’ho ritrovato su Facebook e ho avuto il piacere di interagire con lui. Domenico, classe 1963, è un signore gentile, colto e appassionato di letteratura, lontano dai suoi truci personaggi, ho così realizzato il mio vecchio sogno di quando ho iniziato a scrivere su questo blog: dedicargli uno spazio per dirgli GRAZIE. Quindi, signori, ecco a voi l’Araldo di un’estetica horror tutta italiana di anni incredibili in cui ancora Fanucci sfornava capolavori popolari curatissimi che portavi a casa per poche lire ma con sicuro divertimento. Ah, dimenticavo: Domenico è anche uno degli ultimi dei grandi Romantici Idealisti (anche se si definisce un Futurista) stricto sensu… leggendo quest’intervista capirete perché!


1)     
Partiamo dall’inizio: Chi è Domenico Cammarota e come nasce in lui la passione per il fantastico? 

Per rispondere alla prima domanda, non basterebbe una vita... Io ho tentato di farlo recentemente, nel mio ultimo libro appena uscito, "Memorie del Futuro" (Macerata, editrice Biblohaus, 2023), dove nel terzo capitolo intitolato "Libri e fumetti della sanguinosa infanzia", ricostruisco nei dettagli tutto il percorso formativo delle mie letture - dai 4 ai 18 anni d'età - con autori e libri preferiti, ecc. In sintesi: il mio primo libro fu il "Pinocchio", di lì passai a Jules Verne, e poi a tutta una serie di grandi classici come "Il Mago di OZ", "Alice nel paese delle meraviglie", "I Tre moschettieri", "L'Isola del Tesoro", le "Mille e una notte", le favole dei fratelli Grimm, ecc. Una vecchia edizione dell'Inferno Dantesco, illustrata dal grande Gustave Dorè, contribuì a far danni... Tra i fumetti, adoravo i "neri" Diabolik, Kriminal e Satanik, i classici come Gordon e il Principe Valiant, le storie nere di Dino Battaglia... e poi ovviamente i super-eroi come Batman, Superman, la Legione dei Super-Eroi, Thor, L'Uomo Ragno, ecc. I primi libri dichiaratamente horror che divorai, furono tutti i Racconti di Edgar Allan Poe, il "Dottor Jekyll" di Stevenson, "Il ritratto di Dorian Gray" di Wilde, e ovviamente il "Dracula" di Stoker... Presi ad apprezzare anche il fantastico più metafisico ed esistenziale come quello presente nei meravigliosi libri di Jorge Luis Borges, Italo Calvino, ma anche in testi apparentemente insospettabili come la "Metamorfosi" di Kafka... In me scattò decisamente la molla del bibliofilo collezionista, quando da imberbe liceale senza il becco d'un quattrino, facendo enormi sacrifici, in qualche anno riuscii a comprarmi i primi 200 numeri dei "Romanzi di Urania", con quelle bellissime copertine di Kurt Caesar... dopodiché, non si tornò più indietro: testi italiani, inglesi e francesi; vecchie riviste, libri dimenticati, e autori di protofantascienza e fantastico che mi appassionavo a "scavare"; riviste, fanzine, le prime convention, et voilà, les jeux sont faits!...

2)      Cosa ti ha influenzato quando hai iniziato a scrivere narrativa?

 Autori che mi hanno influenzato... difficile dirlo, di sicuro ti posso fare una piccola lista dei miei autori preferiti, che in quanto tali forse hanno contribuito negli anni ad influenzare la mia scrittura, in ordine sparso: Fritz Leiber, Theodore Sturgeon, Richard Matheson, Robert Bloch, James G. Ballard, Philip K. Dick, Cornell Woolrich, J.L. Borges, e poi ovviamente H.P. Lovecraft e Clive Barker...


3)     
Tu inizi come saggista/critico e prefatore, qui la tua produzione è molto ricca, poi nel 1984 arriva per Fanucci il racconto La rivolta dei Pentecostali neri, un ottimo racconto che già nell’incipit ci rimanda alla fantasia eroica dai contorni macabri di Karl Edward Wagner… è un racconto breve, ma incisivo come una rasoiata data con velocità ma con forza. Come ti venne l’idea?

L'idea di base per il racconto "La rivolta dei Pentecostali Neri", mi venne perché all'Università, nel corso di Storia, avevo studiato tutto il periodo delle sanguinose rivolte contadine avvenute in Francia nel 1300, le cosiddette "Jacquerie"; io non feci altro che trasportare tutto questo scenario storico medioevaleggiante in un ambientazione più dotata di elementi gotici e fantastici, conservando però tutti quegli elementi storici realistici (violenza, sangue, scontri, torture) che erano indispensabili a mantenere il tono lineare della narrazione. La pubblicazione di questo racconto destò un enorme scandalo negli ambienti di estrema destra che fino ad allora avevano monopolizzato l'Heroic Fantasy nostrana; fui accusato d'essere un provocatore, un drogato comunista e peggio, perché avevo osato infrangere dei sacri canoni non scritti di "onore, legge e ordine" che questi messeri professavano... A dare il via all'assalto, fu una lunga recensione-stroncatura d'un tal Corrado Federici (pseudonimo, a quanto mi dissero, di G. de Turris) apparsa sulla rivistina solfanelliana "L'Altro Regno"... allora la contrapposizione fra destra e sinistra fantascientifica era assai forte, non si scherzava su queste cose apparentemente futili, tanto è vero che di lì a poco, sul mio vecchio portone di casa, dipinsero una piccola svastica e tirarono addirittura un colpo di pistola!...

4)      Acta de Parusia (1985) dell’anno successivo, sempre per i tipi di Fanucci, è sempre un heroic fantasy, ma che dal mio punto di vista ricorda molto La Gerusalemme liberata di Tasso, perché anche qui, partendo da un fatto storico riconoscibile come la caduta di Costantinopoli (anche se tu cambi il nome del luogo) ci si avventura in una storia di eroismo, barbarie e sacrificio in cui i nobili eroi sono coinvolti in una vicenda cupa dove cominciano già ad affiorare crudeltà ed erotismo, cifre stilistiche della tua narrativa fantastica. Ce ne vuoi parlare?

Il racconto "Acta de Parusia" non prende ispirazione né da Gerusalemme, né dalla caduta di Costantinopoli; la città protagonista non è altro che Napoli, la mia Napoli, che in quel determinato periodo storico in cui fu scritto il racconto, aveva sofferto le piaghe devastanti del Terremoto, del post-terremoto, del continuo bradisismo e della feroce lotta criminale fra le varie bande camorristiche che avevano finito per imbarbarire completamente le più elementari norme del vivere civile. Si tratta quindi d'un racconto metaforico, dove sotto la superficie degli elementi gotici e fantastici si nasconde in realtà un paesaggio urbano disastrato e disperato, in preda ad impulsi di morte e di vendetta, fino ad esiti finali di taglio scatologico e apocalittico: la Parusia e il Giudizio, per l'appunto.

5)      Sai cosa mi ha colpito veramente in questa storia? L’incipit con la processione delle Confraternite e del “popolo minuto”, dove sacro e profano si mischiano con un sapore tutto italico tra sfarzo esibito, sacralità, nudità e superstizione, quasi una cronaca grottesca di certe rappresentazioni religiose a cui si assisteva nei paesini del Sud Italia di una volta… Qui l’impatto sul lettore è magnifico…

Hai centrato perfettamente gli ambienti della mia ispirazione al riguardo... Infatti da piccolo avevo assistito a molte di queste processioni religiose del meridione, restandone fortemente impressionato, da quelle della mia città - dalla processione di S. Strato protettore di Posillipo, dove sono nato, fino alle più popolari processioni dei "fujenti" della Madonna dell'Arco - fino ad altre ben più macabre e sanguinose, come la processione dei "vattienti" a sangue che si celebra ogni 7 anni a Guardia Sanframondi...


6)     
E veniamo all’horror: Il caos strisciante del 1986, apparso sulla celebre collana I miti di Cthuluh (Fanucci). E’ una storia bellissima, una sorta di Nyarlatoteph ma in cui bisogna arrivare fino alla fine per scoprire il vero Caos. Mi ha ricordato molto i racconti di Clive Barker, perché a differenza di Lovecraft, qui descrivi la discesa agli inferi di un uomo qualunque (forse un po’ esteta) che a causa della passione per una donna scende a poco a poco i gradini dell’abisso morale, ma quando sta per realizzare il colpo più ricco (ma anche più turpe) ecco che irrompe il fantastico, un orrore dal sapore antico che lo porterà a trasformarsi da predatore a vendicatore, ma forse è troppo tardi… Qui davvero sembra che tu abbia operato una crasi perfetta tra Lovecraft e Barker, per l’irrazionale a cui va incontro il protagonista, l’ossessione e la decadenza per il sesso, e il finale con il crollo totale dello status quo della realtà… Ma c’è anche una storia d’amore tragica nel racconto, che forse fa da contraltare a quella del protagonista, quanto è voluta questa cosa? Che ricordo hai del racconto?

"Il Caos strisciante", ricordo poco di questo racconto, forse perché inconsciamente ne ho voluto RIMUOVERE il ricordo, troppo doloroso... perché anche in questo caso il leit-motiv scatenante della trama è proprio il distorcersi della realtà in qualcosa di peggio, in una ossessione, un incubo ad occhi aperti... e la storia d'amore tragica del racconto, non è altro che la metafora fantastica, come ho già detto, d'una storia d'amore tragica e disperata che stavo vivendo in quel preciso momento, con annessi e connessi... partivo da dati di fatto reali d'una vita vissuta al limite, per tentare forse di esorcizzarli, in una narrazione a tratti forse eccessiva, in cui Lovecraft e Barker s'incontravano loro malgrado, in un rapporto sadomasochista distruttivo di riferimenti reali e irreali? Certo, può essere. Ma alla fine, anche la pratica psicologicamente abreativa del mettere in "fiction" cose e sentimenti veri, non bastava certo ad eliminare un sottile, Pavesiano "male di vivere"...

7)      Adesso parliamo di un racconto che letto a diciannove anni mi cambiò radicalmente il modo di vedere la narrativa fantastica e mi costrinse a cercare negli anni seguenti tutto ciò che avevi scritto: Il volto di Aceldama (1987). Era inserito in una bella raccolta di Heroic fantasy per Fanucci e poi in Storie di Diavoli per Newton&Compton, ma c’è pochissimo di heroic fantasy, il tema è quello dello scontro eterno tra Bene e Male, ma tu sei riuscito con maestria a mischiare le carte e confondere il lettore lasciandolo spiazzato nel finale. La storia di Fratel Medardo, Donato e della Signora di Urbania è un affresco bellissimo e terribile con personaggi (anche secondari, come i monaci della confraternita) e ambienti che ti rimangono dentro dopo la lettura per un sacco di tempo, scene epiche di sangue come lo scontro tra i frati e gli armigeri, bellezza e mostruosità alternate con naturalezza, Bosch, il Barker di Vade retro Satana e tanto altro… Mi sarebbe piaciuto vederlo adattato in un film, sarebbe stato un capolavoro. Se ho curato antologie di narrativa horror italiana forse lo devo a quel racconto. Cosa vuoi dirci di questa storia dove “Tutte le furie del folle Inferno, cantano l’epica del Padreterno”, come avrebbe detto Emilio Praga?

"Il volto di Aceldama", è il frutto d'una lunga ricerca sul territorio, nella fattispecie l'antico Ducato di Urbino nelle Marche, dove ho soggiornato per varie estati, investigandone la storia e i luoghi; Urbania è una piccola città realmente esistente nella provincia di Urbino, che molti non sanno neppure che esista, come ad esempio il compianto Claudio De Nardi, che quando recensì il bellissimo "Amour Dure" di Vernon Lee pubblicato da Sellerio (ed ambientato proprio ad Urbania...), sbagliò clamorosamente, credendo Urbania un luogo immaginario costruito sui ricordi di Urbino! Ad Urbania esiste realmente una Confraternita della Buona Morte, che dispone d'una propria Cappella adornata con varie mummie perfettamente conservate, e orrendi arredi come lampadari fatti d'ossa umane intrecciate et similia; in questa Cappella fu girata pure una scena del film "La Mandragola" di Alberto Lattuada, con il grande Totò nel ruolo di Frà Timoteo, che scende nella cripta a parlare con i teschi... in sede di montaggio del film, questa scena fu considerata troppo horror e quindi fu scartata, salvo poi essere recuperata e inserita quando uscì la versione del film in VHS!... Cos'altro aggiungere; in effetti "Il volto di Aceldama" piacque molto ad amici e "nemici", ricordo che mi arrivarono complimenti un pò dappertutto, e addirittura Gianni Pilo mi informò dell'interesse suscitato in ambienti Mediaset, che avrebbero voluto eventualmente adattare la storia in una loro fiction TV... poi, come spesso succede in questi casi, l'interesse scemò, e dell'adattamento televisivo non se ne parlo più! Comunque resto particolarmente affezionato a questa storia, se non altro per i bei ricordi delle estati passate in loco...

8)      Acque rosse a Innsmouth (1987) ti vede cimentare invece con la narrativa del Solitario di Providence, per fare un cronaca fantastica dove alcuni eccessi narrativi tipici del tuo stile incontrano i mondi di Lovecraft pur mantenendone quasi inalterati gli stilemi… Oltre a Innsmouth, c’è anche un po’ de L’orrore di Dunwich, ma soprattutto c’è Cammarota…

Cosa c'è? ...La rabbia forse, una certa dose di tipica aggressività letteraria, anche perché all'epoca - horror e SF a parte - avevo incominciato ad occuparmi seriamente delle avanguardie storiche, Futurismo e Surrealismo in testa; insieme al disegnatore Domenico D'Amico ed altri artisti, avevo già fondato da tempo il Movimento Ubikuo / Ubik Movement, che si rifaceva alle teorie di Philip K. Dick che per noi era una specie di Profeta, facevo parte di piccoli gruppi d'avanguardia locali, partecipavo a mostre, dipingevo perfino, e mi vestivo e comportavo in maniera un pò bizzarra... Forse in questo, ritornando all'influenza di Lovecraft, tendevo ad assomigliare inconsciamente un po’ troppo al bizzarro pittore del suo capolavoro "Il modello di Pickman"!...

9)      Tu hai avuto l’onore di curare una bellissima antologia sul compianto Arthur Machen, uno degli scrittori preferiti di Lovecraft, ma soprattutto hai sviluppato in forma di racconti tre tracce lasciate dal padre de Il grande Dio Pan. Ci parli di questi tre piccoli gioiellini in cui un italiano prova a dare forma e seguito alle fantasie di un inglese? Gianni Pilo nella prefazione, riconoscendo i tuoi meriti letterari, dice che solo tu potevi compiere un’impresa simile…  Come fu la lavorazione di questi racconti?

Devo dire che quei racconti furono il frutto finale d'una lavorazione assai lunga e complessa... Non avevo alcuna intenzione di ripercorrere il percorso un pò truffaldino di August Derleth, che nei suoi volumi di "collaborazioni postume" Derleth-Lovecraft, aveva spacciato per materiali lovecraftiani delle cose esclusivamente farina del suo sacco, così come fecero Sprague De Camp e Lin Carter per le "collaborazioni postume" con R.E. Howard, e altri casi simili, e come fece pure l'italiano Gianluigi Zuddas per alcune storie di Solomon Kane, con risultati un po’ ambigui e altalenanti... C'era questo piccolo elenco di tracce per futuri racconti, lasciato da Arthur Machen in un suo diario all'epoca inedito, dove il grande autore aveva lasciato solo i titoli, e delle tracce generiche di massima delle trame, roba dai venti ai quaranta righi, nulla di più... e purtuttavia sufficienti a (ri)creare nuove storie, nel solco della tradizione macheniana. Quindi, partendo da quei titoli e da quelle piccole tracce, scrissi quei tre racconti sforzandomi il più possibile d'accostarmi allo stile macheniano, che è assai colto, segreto e misterioso, riuscendo a calarmi in quel mondo "gaelico" affascinante, grazie anche allo studio approfondito che avevo fatto sulla biografia del grande scrittore e sulle sue valenze esoteriche e mistiche, come dimostrai nel saggio finale "Arthur Machen, filius Acquartii"... Oggi molti scrittori provano a scrivere seguiti apocrifi Lovecraftiani et similia, ma credo - forse sbaglierò - che nessuno, oltre me, abbia mai scritto delle "collaborazioni postume" Macheniane, testi che nel tempo sono stati alternativamente sia sottovalutati dai "puristi", sia esaltati dai lettori più attenti e precisi, come te...

10)   E veniamo a quello che per me è veramente il tuo capolavoro: Il lamento dei bimbi picchiati (Fanucci, Il terrore di Cthuluh, 1988). Partendo dal titolo che ricorda un celebre racconto di Harlan Ellison, è un racconto perfetto, dalla prima all’ultima riga. La storia parte da questa Villa Lugubre ma poi si sposta a casa del vecchio zio Turi, per poi tornare in flashback all’interno della villa e raccontare tutti gli orrori del mondo. C’è veramente di tutto, dagli pseudobiblia molto più inquietanti ed eccessivi del Necronomicon di Lovecraft ai riti arcani a casa di zio Turi, dalle scene modello L’esorcista al cannibalismo, e potrei continuare per ore… Ma ci sono anche descrizioni bellissime, ambienti a metà strada tra Verga, Gozzano e D’annunzio, violenza, erotismo e atmosfere malsane alla Barker, suggestioni da Machen e da Howard (il piccolo popolo di gnomi malefici) e una Sicilia arcana e paurosa come mai più descritta. Ed è proprio con Howard, (con la regressione alla barbarie del duca Severiani da uomo civile qual era) che il racconto cambia registro. C’è una conoscenza del fantastico e dell’esoterismo profusa a piene mani, ma anche una narrazione avvincente. Puoi parlare di questo racconto lungo e del perché ambientarlo proprio in Sicilia? Anche questo se fosse stato un film, sarebbe stato fantastico…

Anche in questo caso, l'ambientazione siciliana del racconto nasceva da un indagine sul territorio, sul folklore e sulla magia delle tradizioni locali, su quei luoghi bellissimi pieni di tradizioni millenarie che affondano le loro radici storiche in un composito panorama di leggende mitologiche, vecchi riti pagani, solarità e bellezza del territorio mescolata ad un cupo senso barocco della morte d'origine spagnolesca e borbonica... Come ben sai, esiste tutta una lunga schiera d'autori siciliani che hanno cercato negli anni di portare avanti questa tradizione gotica e fantastica, dai "Beati Paoli" ai racconti macabri e fantastici di Luigi Capuana, fino ai più moderni Pirandello, Tomasi di Lampedusa, Bonaviri, Sciascia, Consolo, e tanti altri... Tornando al mio racconto, l'immagine degli gnomi malefici e del loro reame della "Trinacria Sotterranea", mi fu suggerita un pò dalla "Favola del figlio cambiato" di Pirandello, un pò dalla suggestione d'alcune vecchie e splendide illustrazioni favolistiche del grande pittore Libico Maraja, e un po’ da alcuni gnomi "malefici" presenti nei vari seguiti de "Il Mago di OZ" di Frank Baum, che all'epoca non erano ancora stati tradotti in Italia... Poi a questo mix ci aggiungi anche le suggestioni di Harlan Ellison e di Clive Barker, e il substrato ideologico del racconto è già bello e completato!...

11)   Sai perché penso che il racconto sia un capolavoro? Perché ogni volta che lo rileggo trovo sempre qualcosa di nuovo, un particolare orrorifico che mi era sfuggito, un nuovo spunto… Sembra che la novella di Pirandello La favola del figlio scambiato (incursione dell’autore agrigentino nel fantastico) incontri i mondi delle favole popolari per poi tornare a Sciascia (la scena finale del giudice) e alla realtà siciliana di quegli anni. Espressioni come “la torta di ferro” o “U Visciduzzu” richiamano alla memoria terrori infantili e primordiali…

Nella fattispecie, "U Visciduzzu" si richiama alle creature sotterranee presenti nella "Storia del Sigillo Nero" di Arthur Machen, che non sono altro che delle specie di lumaconi giganti vagamente assomiglianti agli esseri umani... e che in quanto "lumaconi", lasciano al loro passaggio delle tracce mucillaginose assai viscide... da viscide a "U Visciduzzu", il passo è breve, ma aggiungerò che nel nomignolo del Re degli gnomi, c'entra un po’ anche il richiamo ai vari nomignoli disgustosi che i capi dei vari "mandamenti" mafiosi sul territorio siciliano, a volte assumevano... come sempre, realtà e fantasia strette in un percorso inestricabile e pauroso!


12)  
Hai avuto anche la possibilità di inserire una poesia nel racconto, cosa che fai spesso…

La poesia è un altro genere letterario che mi attira molto, sia in ambito collezionistico - ho raccolto moltissime prime edizioni di autori italiani del '900, spesso autografate - sia come materia di studi in saggi e libri vari; sono considerato il più grande esperto di letteratura futurista in Italia, ho curato dei libri importanti nel settore pubblicati da editori come Vallecchi e lo svizzero Skira, ecc.; ma per dirla tutta, ho avuto anche una mia produzione sotterranea di poesie a sfondo horror, a cominciare dai due poemi sui Miti di Cthulhu presenti nel vecchio n. 1 speciale Lovecraft della rivista da edicola "Star" di Luigi Naviglio, fino a una mia raccolta poetica vera e propria dal titolo "Notturno Scarlatto", che mi fu pubblicata dall'amico disegnatore Marco Gordini, quando insieme a Bruno Garavini (un altro grande scrittore horror italiano, oggi un pò dimenticato) collaboravamo insieme nei progetti editoriali horror legati alla serie dei supplementi "Perle Nere" e annessi e connessi...

13)   Con Le ali nere della distruzione, Fanucci 1988,  torni al fantasy, ma un fantasy screziato di macabro, in cui misticismo, barbarie e orrore incedono sempre più velocemente verso l’apocalittico finale che lascia senza parole e con una sensazione di ineluttabile catastrofe che ti rimane dentro, ma dalla quale ci si sente affascinati. Ci parli del barbaro protagonista Altazor il Terribile, della bella principessa Arianna e dei loro infernali nemici? La scena dell’assalto dell’orda infernale all’esercito di Altazor è pura estetica dell’orrore.

Anche "Le ali nere della distruzione" è ispirato a varie epoche storiche, autori e personaggi che andavo studiando a quel tempo, come la storia delle Compagnie di Ventura, che mettevano a ferro e fuoco l'Italia in epoca Rinascimentale... nella figura di Altazor il Terribile, si può intravedere un estremizzazione di figure come quella di Giovanni dalle Bande Nere, e altri sanguinari condottieri... e magari anche il lontano ricordo d'uno straziante romanzo di Mino Milani dal titolo "Efrem", letto da bambino a puntate sulle mitiche pagine del "Corriere dei Piccoli", e mai più dimenticato. Altre influenze nel racconto che io possa ricordare ora... ad esempio "La morte viola" di Gustav Meyrink, un altro dei miei autori preferiti, dove compaiono le figure di quei bizzarri maghi Tibetani poi da me riprese... La scena dell'assalto dell'orda infernale, è invece ispirata al bellissimo poema di Giovanni Pascoli "Gog e Magog" (1904), che per me è un vero e proprio racconto antesignano di Heroic Fantasy, scritto in forma di poema... La figura della principessa Arianna, è invece ispirata a una ragazza punk dallo stesso nome, con cui all'epoca iniziai un rapporto che purtroppo durò poco... Vedi bene che fra figure reali e figure immaginarie, letture colte e letture popolari, il background della mia narrativa risulta sempre inestricabilmente collegato fra realtà e finzione, in tutti i sensi!

14)   L’ultima lanterna, sempre del 1988, attualmente è il tuo ultimo racconto o sbaglio? Un’avventura quasi picaresca ma dai marcati toni erotici, selvaggi e orrorifici che inizia in un lupanare decadente e finisce nel castello di un imbelle sovrano. I due protagonisti sono poi il ladro Jubal, che richiama un po’ il Conan di Howard e il semidio Strigor. Sbaglio o c’è una critica sociale in questo?

No, "L'ultima lanterna" non è certo il mio ultimo racconto, ne esistono vari altri, sia editi che inediti... Ad esempio, c'è un altro racconto di cui ora mi sfugge il nome, presente in un altra antologia del "Mondo dei ladri" sempre curata da Robert Asprin, e probabilmente tradotto anche in inglese... inoltre il sito biblio-SF della buonanima di Vegetti è assai scarso, non cita assolutamente tutti i miei racconti di SF, horror e fantasy, comparsi sulla rivista "SF.Ere" edita dall'ANASF a Roma, o sulla prozine "Intercom SF" nei primi anni '90, dove ci sono almeno un paio di buoni racconti ucronici, con una riscrittura "politica" della storia italiana degli ultimi 80 anni... e infine c'è un mio romanzo di heroic fantasy dal titolo "Jawell di Celestron", sulla falsariga di "Ali nere della distruzione" (ma, se possibile, ancora più violento...), che pure era in predicato d'uscire come libro a sé per la Fanucci, e che poi non se ne fece più niente, probabilmente per problemi d'autocensura (scene di torture, stupri e massacri a ripetizione!...). Poi ci sarebbe anche un antologia di racconti horror inediti, che volevo intitolare "Polvere", contenente storie più moderne e contemporanee, in stile "gioventù cannibale", come quel movimento ormai defunto di qualche annetto fa, stile Alda Teodorani et similia... una cosa divertente legata a questa antologia di inediti horror, fu il fatto che mio cognato, per farmi una sorpresa, consegnò il dattiloscritto in visione al celebre Aldo Busi, che allora viveva ancora in casa della vecchia madre, a Montichiari in provincia di Brescia... Aldo Busi, che allora dirigeva una sezione "sperimentale" degli Oscar Mondadori e si atteggiava a scopritore di talenti, mi mandò in risposta una lunga lettera manoscritta che conservo ancora, dove diceva che purtroppo non poteva pubblicare i miei racconti perché erano "troppo impregnati di dolore", e il dolore da solo "non bastava a giustificare l'esistenza d'un libro"!!! Ancora rido, se ci ripenso... E infine - vero mistero bibliografico - esiste un mio libro ignoto a tutti, l'antologia "L'Ordine del Sangue", edito a Torino dalle edizioni Sevagram di Riccardo Valla nel lontano 1991-92; un bel volumone rilegato in cartone plastificato verde, con una clamorosa sovraccoperta a colori del grande BORIS... in questo volume ci sono TUTTI i miei racconti di heroic fantasy fin qui citati, più il capitolo finale inedito intitolato "Non è più tempo per gli eroi", ambientato a Fiume nei giorni del nefasto "Natale di sangue" del 1920, con protagonisti Gabriele D'Annunzio, F.T. Marinetti, Guido Keller e altri, che in un finale stile APOCALYPSE NOW, muoiono tutti ammazzati nell'assalto concentrico di forze inglesi, americane, e anche italiane, del governo Nitti, il "boia labbrone"! Perché questo volume non lo conosce nessuno? Perché la Sevagram fallì per debiti regressi - non pagava gli stampatori - e quindi la tiratura del mio libro fu bloccata in Tipografia, e le poche copie fino ad allora stampate, finirono in qualche scatolone, in un deposito in provincia di Torino... fino a qualche anno fa, dove incominciarono a circolarne almeno 4 o 5 copie, vendute online tramite la sezione Vendo/compro del sito ufficiale di Urania, e altre fonti... fu così che Gianni Pilo riuscì a recuperare in extremis una copia nuova di trinca de "L'Ordine del Sangue", e a regalarmela, con mia grande sorpresa...

15)   Il finale del racconto ha un commovente tono elegiaco, ma che col gesto apparentemente insensato compiuto da Strigor il Rosso richiama alla meta-letteratura tanto cara sia a Calvino che a Stephen King nel finale della saga epic-fantasy La torre nera…

Il principe Strigor, è anche il personaggio "cattivo" del mio romanzo inedito su citato, "Jawell di Celestron"... probabilmente gli avrò fatto fare quella fine, narrativamente parlando, per una sorta di vendetta inconscia! Jubal è invece davvero un personaggio howardiano... spesso ci si dimentica che Conan il Barbaro, ad esempio, non è certo un modello di eroiche virtù guerriere, ma solo un ladro e un predone, spesso ubriacone e puttaniere, tendenzialmente anarchico e antireligioso, in quanto non tiene in minimo conto gerarchie politiche e religiose, Re e Sacerdoti, niente e nessuno, ma solo la punta della sua spada!

16)   C’è qualche inedito che avremo il piacere di leggere? Non sarebbe ora di tornare alla narrativa? E’ un vero peccato che uno col tuo stile e le tue competenze sia sparito dalle antologie di racconti… Proprio come Barker guarda caso…

A questa domanda, credo d'aver già risposto sopra... Ogni tanto pubblico qualche raro racconto-saggio, ma sono perlopiù narrazioni un pò metafisiche alla Borges, niente di così estremo come l'Horror! Ad esempio ho pubblicato il racconto ucronico-romantico (e un pò autobiografico...) intitolato "Sogno d'un bibliofilo '900ista", all'interno del mio ultimo libro "Memorie del Futuro" su citato... e negli ultimi anni, sono uscite a mia firma parecchie plaquettes di testi brevi editi a Imola dalla sigla Babbomorto editore, a cura del critico letterario Antonio Castronuovo, il noto autore del "Dizionario del Bibliomane" (edizioni Sellerio)... fra queste plaquettes, credo in gran parte ormai esaurite, vorrei qui segnalare soltanto quella intitolata "Pseudobiblia" (copertina col Necronomicon originale di Abdul Alhazred!), dove riprendo e aggiorno un mio vecchio saggio sugli Pseudobiblia che dal 1986 in poi ha fatto scuola, venendo spesso citato sia nella Voce di Wikipedia al riguardo, sia in repertori importanti come l'antologia a cura di Albani e Della Bella "Forse Queneau. Enciclopedia delle scienze anomale" (Zanichelli, 1999), in una pagina fianco a fianco con Borges, Dick e Calvino, e scusate tanto se è poco...


17)  
Tu sei un’autorità nel campo della poesia Futurista, da Marinetti a Palazzeschi passando per Corazzini (che ha scritto capolavori come Follie, ma tante altre cose belle…) oggi quasi dimenticata dai più (a scuola nelle quinte riesco solo ad accennare, quando va bene, Crepuscolari e Futuristi). Perché oggi è importante parlare di Futurismo? Non hai mai pensato di scrivere anche Fantascienza?

Futurismo, Fantascienza... le due cose sono strettamente collegate, tanto è vero che scrissi pure la voce "Fantascienza" per il "Dizionario del Futurismo" Vallecchi-MART, di cui ero membro della Redazione... Molti autori futuristi, hanno scritto romanzi e racconti di protofantascienza: Marinetti, Papini, Folgore, Corra, Marchi, Volt, Rosa Rosà, Masnata, Vasari, Buzzi, Fillìa... Qui il discorso sarebbe troppo lungo, diciamo che negli anni ho consolidato il mio interesse critico professionale verso il Futurismo, proprio grazie alla Fantascienza, studiando e collezionando varie prime edizioni di classici della protofantascienza italiana (1857-1951), su cui da gran tempo sto preparando una Bibliografia tematica d'oltre 320 autori e mille libri, che prima o poi uscirà... Diciamo che il Futurismo ha precorso gran parte della moda di oggi, dell'estetica, del design, dell'architettura, dell'arte... La sua importanza profetica è ormai cosa riconosciuta da tutti, qui ricorderò soltanto che già nel 1913, oltre 110 anni fa, Marinetti già aveva previsto e descritto la creazione dei moderni cd-rom, MP3, ed altri supporti elettronici, che avrebbero favorito la scrittura e la trasmissione della cultura e delle informazioni... Indubbiamente viviamo in un era "futurista", tutto sta solo a vedere se alla fine prevarrà un futurismo pacifico e coloratissimo, creativo come quello postulato da Balla e Depero nel loro manifesto fondamentale sulla "Ricostruzione futurista dell'Universo" (1915), o piuttosto prevarrà un futurismo guerrafondaio (i presupposti, dall'Ucraina a Gaza e alla Corea del Nord, purtroppo ci sono già tutti), che potrebbe portarci prima o poi ad inquietanti scenari apocalittici mondiali, come quelli paventati e descritti nei film di "Terminator" e di "Matrix"... e i recenti incredibili sviluppi della cosiddetta AI o intelligenza artificiale, malgrado i tanti pareri discordi pro e contro, ti dirò che non mi lasciano per niente tranquillo... proprio no.

Caro Giuseppe, in chiusura di questa intervista, vorrei offrire a te ed ai lettori una chicca, un interessante testo horror appena "scavato di fresco" fra i libri di poesia che colleziono: la poesia "Il Vampiro" di Amalia Guglielminetti, tratta dalla sua raccolta "L'Insonne" (Milano, Treves, 1913). E' noto che la Guglielminetti, prototipo della femme fatale mangia-uomini (un po' il contraltare femminile di un D'Annunzio...), ebbe una relazione amorosa dura e possessiva con il poeta Guido Gozzano, morto poi giovanissimo per una grave malattia del sangue... Ebbene, questa poesia da me ritrovata, leggendo fra le righe, è una metafora terribile dello stretto rapporto "vampirico" che legava la Guglielminetti a Gozzano! A me ha dato i brividi... spero che li dia anche a chi la leggerà. Ecco il testo: 

IL VAMPIRO

Non il piacere sugge le vene e incupisce di bistro

lo sguardo, un più sinistro vampiro la forza distrugge.

Desiderio, vermiglio signore dell'ombre, tu addosso

t'abbranchi e fino all'osso configgi l'aguzzo tuo artiglio.

E fino al cuore il dente configgi nel cupido morso,

lo sveni sorso a sorso, stilla a stilla indefessamente.

L'anima in cui non langua la brama e di più in più ne soffra

non è preda che s'offra al vampiro che la dissangua?

Tale è la mia, né cosa bella splende innanzi ai miei occhi,

ch'essa non mi trabocchi di un'avidità tormentosa.

Io vorrei, non mai sazia, tutto quanto al mondo mi piace:

chiudo in me un cuor predace che mortifico e che mi strazia.

E con questi versi stupendi che si chiude questo viaggio nel mondo stregato di Domenico. Grazie veramente per la lunga chiacchierata, mi auguro di ritrovarti ancora nelle pagine dei tuoi racconti fantastici, sugli scaffali delle librerie oggi ahimè invase troppo spesso da gente che dice di sapere cos’è il Fantastico, ma che non sa minimamente cos’è la Poetica.


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