IN PRINCIPIO FU DRACULA: INTERVISTA A GIANDOMENICO RUTA

(a cura di GIUSEPPE MARESCA) - Nel panorama della narrativa fantastica italiana che presenta purtroppo sempre ben poche novità, è una piacevole sorpresa imbattersi in autori interessanti e di spessore come Giandomenico Ruta, messinese, classe 1961, che ha passato la vita studiando il mondo dell’occulto fino a quando non ha deciso di fissare su carta, romanzandole, le sue suggestioni fantastiche e le sue esperienze paranormali. Degno erede della tradizione gotico regionalistica inaugurata dal grande Eraldo Baldini, sorretto da una prosa cristallina priva di fronzoli inutili che punta dritta alle emozioni dirette del lettore come quella di William Peter Blatty, suo autore di riferimento, Giandomenico (persona molto umile, colta e gentile) ci accompagna in questa intervista alla scoperta delle sue opere svelando anche qua e là il suo percorso di crescita spirituale che lo tiene sempre in bilico tra luce e tenebra, in una Sicilia segreta che non vi sareste mai aspettati esistesse, una terra dove dietro le facciate dei palazzi barocchi o nelle casupole dei borghi di campagna, si celebrano riti antichi e tremendi in cui magia, folklore e irrazionale si mischiano in qualcosa che è difficile classificare e alla quale può dare una risposta solo o una forte fede o una totale negazione.

G.M. - Come nasce la passione di Giandomenico Ruta per la scrittura fantastica?

G.R. - Già da ragazzino dalle mie letture sul mistero traevo tutta una serie d’appunti. Atteggiamento che continuai a tenere quando più grande feci parte di un cerchio spiritico dove la medium mi dava parecchio materiale da scrivere. Così, quando nel 1985 la mia ragazza del tempo, per tutta una serie di ragioni che qui non posso elencare, mostrò disturbi diabolici che ebbero la durata di sette mesi, mi venne naturale annotare meticolosamente ogni cosa, ogni fatto straordinario che spesso accadeva davanti ai miei occhi. Successivamente l’incontro con un editore di Milazzo determinò la pubblicazione di quegli appunti e quindi il mio esordio come scrittore.

G.M. - La tua prima prova narrativa è Storia d’amore e morte tra un vampiro e una violinista siciliana (Armando Siciliano Editore), un romanzo che mischia le suggestioni vampiresche della narrativa gotica con l’assolata ambientazione siciliana, coi suoi salotti decadenti e le sue città apparentemente ricche di luce e di folklore dove si muovono un’eterea e bellissima protagonista che deve sfuggire alle insidie di un vampiro proveniente direttamente dalle pagine di Bram Stoker, anche se a me è sembrato più simile ai vampiri della tradizione cinematografica di Kinski o di Christopher Lee… Come nasce l’idea di questo romanzo?

G.R. - Era il 1998 e mi trovavo per la prima volta a Praga con amici. La città mi affascinò non poco e quando una sera di leggera foschia per strada vidi una ragazza deliziosa, quasi eterea, suonare con grazia il violino per guadagnarsi da vivere, maturai l’idea di una storia d’amore tra lei ed un vampiro metropolitano. La immaginai avviluppata in una nebbia malefica, tra le grinfie di un essere abominevole, lei amante della musica e del bello, e da lì parti la trama che successivamente sviluppai in Sicilia, dove ambientai il romanzo, in quanto terra antica e densa di misteri che, secondo me, si prestava bene come culla di un vampiro che aveva attraversato i secoli. E pensare che circa dieci anni dopo, la saga Twilight, che racconta proprio della storia d’amore tra una ragazza normale e un vampiro, ebbe un successo planetario. Che dire? Probabilmente avrò avuto l’idea per primo, ma il mio conto in banca è rimasto povero.

G.M. - Ne Il segreto di forte Gonzaga (Edas) ci riporta direttamente a una storia di fantasmi e possessione nella tua arcana Messina, con personaggi che sono spesso al contempo tragici, teneri e inquietanti. Quanto c’è di vero in questa storia d’amore e ingiustizia che va oltre la morte?

È tutto tragicamente vero e neppure una virgola è frutto della mia fantasia. Eppure, con il materiale che avevo a disposizione avrei potuto romanzare, enfatizzare, addirittura rivolgermi a un’agenzia letteraria per farmi aiutare e scrivere il cosiddetto “capolavoro” ma, invece, ho preferito sacrificare un probabile successo nazionale per amore della pura e semplice verità. Perché quella storia drammatica meritava rispetto e nessuna contaminazione dettata dalla voglia di emergere. Però, non mi lamento, non mi è andata malaccio.

G.M. - Veniamo a un’altra bella prova narrativa: La memoria dell’acqua, uscito per Algra editore, una storia che sembra uscita direttamente dagli horror cinematografici anni ’80, dalla penna di Stephen King o da un episodio del migliore Dylan Dog. Perché ambientare a Bronte questa storia? Tra l’altro, ho notato la maestria con cui intessi tante storie di personaggi diversi che si ricollegano poi ad un unico filo conduttore, come se le forze del Bene e le forze del Male avessero schierato i loro inconsapevoli (?) eserciti in una lotta che parte da un segreto e sfocia in una apocalisse in cui alla fine i protagonisti non saranno più gli stessi… Vuoi parlarne?

G.R. - L’ho ambientata a Bronte perché amo il castello Nelson e tutto il territorio circostante, e perché in quella terra si è svolto un amaro episodio legato al Risorgimento che mi ha sempre colpito e sdegnato, e di cui ne faccio accenno all’inizio del libro. Per un periodo abbastanza lungo ho frequentato delle ragazzine affascinate da quei personaggi ammantati di mistero, le ho ascoltate e studiate, così mi è venuto spontaneo, durante la strutturazione del romanzo, renderle protagoniste e farle orbitare attorno a un cinquantenne con doti sciamaniche. Come, purtroppo, leggiamo dalle cronache alcune di loro sono capaci dei delitti più efferati, nonostante il bel faccino e l’aria innocente. È un libro che ad una attenta osservazione fa riflettere sulla fragilità che hanno i giovani nei confronti delle nuove tendenze come la New Age o l’occulto in genere, e che racchiude un messaggio sociale rivolto soprattutto ai genitori e gli educatori: attenti perché Satana vuole i giovani!

G.M. - E veniamo al tuo ultimo romanzo, Nel segno dei Gemelli (Edas), un ottimo thriller esoterico che partendo dall’universale arriva al particolare; il protagonista, il capitano Cucinotta si troverà ad indagare su qualcosa più grande di lui in cui la Macrostoria riversa le sue scorie sulla Microstoria di un uomo e di una città (per citare un classico del poliziesco). Sembra quasi di assistere ad una sorta de Il giorno della civetta in versione horror/thriller, che grazie anche all’esauriente apparato fotografico presente all’interno del libro, dà un senso di realismo maggiore all’intera vicenda. Cosa vuoi dire con questo romanzo che ricorda un po’ il Blatty di Gemini killer?

G.R. - Mi sono voluto cimentare a scrivere un thriller “per vedere l’effetto che fa”. In realtà cercavo una scusa per raccontare il clima satanico-esoterico in cui versa la Sicilia, che da quando è stata scelta dal famoso occultista Aleister Crowley come luogo ideale per fondare un’abbazia del diavolo, è continua meta di satanisti, maghi e streghe, che qui vorrebbero fondare il loro grotto (covo). Ho raccolto per anni fatti di cronaca, ma anche verità bisbigliate in certi ambienti inaccessibili, e li ho tessuti all’interno della trama. A dargli vita sono personaggi ordinari, con le loro debolezze, pregi e difetti, ma c’è l’eccezione: tiro in ballo una strega wiccan ed il suo amico Oltretomba, che insieme daranno una svolta all’intera vicenda e saranno un prezioso contributo per la soluzione dei delitti. Con questo libro voglio far sapere a tutti che la nostra bella e solare terra è davvero “L’isola delle Tenebre”.

G.M. - Una delle mie letture preferite sono i tuoi due libri-inchiesta Fatti spiritici e diabolici del messinese e Cronache siciliane dell’occulto, entrambi editi da Armando Siciliano Editore, belli sia da un punto di vista narrativo che cronachistico…

G.R. - Sono libri frutto di alcune personali indagini dove lascio la parola a chi ha vissuto storie straordinarie, ai confini della comprensione umana e spesso spaventose. Persone di strada, di diversa estrazione sociale, che cercavano qualcuno a cui lasciare il peso del loro segreto, di quel fatto insolito che li aveva turbati e con il quale convivevano da lungo tempo. Pagine che fanno capire come un po' tutti, chi più chi meno, abbiamo avuto la nostra esperienza col preternaturale.

G.M. - Dulcis in fundo, In principio fu Dracula, sempre per i tipi di Algra, commovente, scioccante, triste, tenera e inquietante autobiografia, ovvero come partendo dai vecchi fumetti Oltretomba che un po’ tutti abbiamo letto da adolescenti si possa arrivare sull’orlo dell’Abisso… Si può parlare di autobiografia?

G.R. - Giunto all’età di sessant’anni ho sentito l’esigenza di fare un bilancio serio della mia vita, e ho ritenuto che un’autobiografia potesse veicolare meglio il mio messaggio-grido verso gli altri, che consiste nell’avvertire tutti del pericolo reale che incombe su ognuno di noi: l’occulto. Attraverso i miei trascorsi in campo esoterico posso parlare di fatti concreti, e non per sentito dire, perché li ho vissuti in prima persona. Mi sono messo a nudo e mi sono raccontato col solo scopo di toccare i cuori della gente che sempre più spesso si allontana dalla verità e dà credito a forme alternative di fede.

G.M. - Una mia personale curiosità: quali sono per Giandomenico Ruta i maestri del fantastico, sia al cinema che in letteratura? Per farti contento vanno bene anche gli Oltretomba…

G.R. - Al cinema William Friedkin col suo epocale L’esorcista, Dario Argento col suo Suspiria, Ford Coppola col suo Dracula…nella letteratura H.P. Lovecraft, Edgar Allan Poe…William Peter Blatty…

G.M. - Progetti spaventosi per il futuro?

G.R. - Un racconto per un’antologia di prossima uscita dal sapore prettamente siculo!    

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