IN MEMORIA DI GIANFRANCO MANFREDI: "MAGIA ROSSA", LO STRANO UFO DELLA LETTERATURA ITALIANA POSTMODERNA

(di LUCA RAIMONDI) - Il romanzo Magia rossa (1983) di Gianfranco Manfredi rappresenta un’esemplare sintesi di storia, politica e soprannaturale, inserendosi nel panorama letterario italiano degli anni Ottanta come un’opera “ibrida” che coniuga generi e stili differenti. Se da un lato recupera elementi gotici e decadentisti facenti capo al movimento della Scapigliatura, dall’altro anticipa la rinascita dell’horror italiano su carta stampata, pochi anni prima del successo di Dylan Dog di Tiziano Sclavi. Il presente saggio si propone di indagare le componenti tematiche, stilistiche e storico-culturali di Magia rossa, nonché di delineare il profilo e l’operato di Gianfranco Manfredi, figura eclettica il cui percorso spazia dalla musica al fumetto passando per la saggistica e il cinema.

Gianfranco Manfredi (Senigallia, 26 novembre 1948 – Milano, 24 gennaio 2025) si laurea in Filosofia all’Università degli Studi di Milano, dove matura un gusto critico e interdisciplinare grazie alla frequentazione di ambienti controculturali quali la rivista Re Nudo. La sua carriera artistica inizia come cantautore nel 1972 con l’album La crisi, caratterizzato da testi politicamente impegnati e ironici nei confronti della sinistra extraparlamentare. Negli anni successivi collabora a saggistica musicale, pubblicando per Lato Side volumi dedicati a Battisti, Celentano, Jannacci e altri e firma sceneggiature per registi come Steno e Salvatore Samperi, affermandosi anche come attore (e.g. Liquirizia, 1979).

L’esordio narrativo arriva nel 1983 con Magia rossa, prima prova letteraria dell’autore, che in precedenza aveva già alle spalle una solida esperienza musicale, cinematografica e giornalistica. Il suo percorso si distingue per la capacità di dominare linguaggi e registri diversi, da quello alto-filosofico al pulp cinematografico, evidenziando un approccio postmoderno e intermediale che permea l’intera opera letteraria.

All’inizio degli anni Ottanta, la narrativa italiana vive una fase di rinnovamento, come sottolineato da critici quali Francesco De Sanctis e Alfredo Ferroni, che evidenziano tuttavia una certa fragilità stilistica e una tendenza all’autoreferenzialità; Manfredi contribuisce a questa “rinascita” con un romanzo che irrompe nei cliché del periodo proponendo un’ibridazione tra generi diversi. Magia rossa si pone accanto a romanzi come Il nome della rosa (Eco, 1980) nel mescolare registro storico, meccanismi investigativi e sovrannaturale, ma con una cifra fortemente politica e situata nella Milano operaia degli anni ’70 e ’80.

Manfredi si ispira al movimento scapigliato milanese di fine Ottocento, recuperando atmosfere spettrali e anticlericali e collegandole alla vicenda del generale Bava Beccaris (maggio 1898) e dei suoi eccidi, come ricorda il prologo tratto dalle memorie dell’ingegner Marco Grillo. Allo stesso tempo, attinge al cinema horror anglosassone di Romero o Carpenter, considerati allora “artigiani” più che autori, per innestare nel tessuto narrativo suspense e scene di violenza sovrannaturale. Questa doppia ispirazione rende Magia rossa un’opera radicata nella tradizione italiana e al contempo aperta alle innovazioni del genere horror internazionale.

Il romanzo si sviluppa su due piani temporali distinti: il 1898, segnato dalla repressione delle insurrezioni operaie milanesi, e il presente (anni ’80), in cui tre ex compagni di studi si ritrovano per indagare sugli eventi del passato. Questa architettura a incastro consente un confronto serrato tra memoria storica e vissuto contemporaneo, sottolineando le continuità politiche e sociali tra il fin de siècle e il clima di militanza post-’68. La narrazione non segue uno schema lineare, ma fa uso di prolessi e analessi che conferiscono ritmi incalzanti e disorientanti, tipici del mystery più che del fantastico “puro”.

La scelta del titolo “rosso” richiama il movimento operaio e anarchico, presenti come sfondo ideologico e reale delle vicende. Tommaso Reiner, il “mago anarchico”, incarna la tensione sovversiva: le sue presunte capacità di fermare macchinari o far esplodere armi a distanza rimandano a un potere politico occulto, in bilico tra ideologia e superstizione. L’irruzione del soprannaturale diventa metafora della forza viva del dissenso e del conflitto sociale.

Il conflitto tra scienza e spiritismo attraversa il prologo: l’avv. Bortolo Sperani, scettico e rigoroso, organizza una seduta spiritica con criteri “scientifici”, sperimentando la fusione tra macchina elettrogalvanica e medium. Il fallimento di tale razionalismo e l’esito tragico dell’esperimento (la morte per ustioni di Sperani) segnano il trionfo dell’irreale e avviano la discesa nei misteri. Questa dialettica riflette quella tra Illuminismo e Romanticismo, rivissuta in chiave postmoderna.

L’elemento autobiografico è volutamente ridotto all’osso, come osserva Franchini nella postfazione all’edizione Mondadori del 1992: i personaggi, pur evocando la militanza giovanile dell’autore, agiscono senza nostalgia ma con distacco critico. La riscrittura del passato storico attraverso la lente del presente diventa un’indagine sull’identità collettiva e sul ruolo della memoria nel forgiare il senso del contemporaneo.

Il registro di Magia rossa mescola toni noir, flow letterario della tradizione scapigliata e tecnicismi tipici del racconto poliziesco. La lingua di Manfredi è essenziale ma densa di suggestioni: frasi spezzate e descrizioni fugaci si alternano a pause riflessive, creando un effetto di straniamento che accentua l’atmosfera “esoterica” dell’opera . L’autore utilizza inoltre termini desueti (e.g. “negromante”, “spiritismo”) per richiamare l’Ottocento, mentre neologismi e gerghi politici stabiliscono un contatto con l’universo dei movimenti giovanili anni ’80.

Nonostante il carattere pionieristico, Magia rossa affronta le difficoltà tipiche dell’horror in Italia: ristampato da Mondadori nel 1992 nella collana “I Gabbiani” e da Gargoyle nel 2006, il romanzo è oggi introvabile nelle librerie, circolando prevalentemente in formato usato o da collezione. Tuttavia, recensioni online ne riconoscono il valore di “horror tutto italiano” grazie all’uso di ingredienti quali Marx, Massoneria e Scapigliatura, e critici contemporanei sottolineano la capacità di Manfredi di padroneggiare linguaggi diversi. La mancanza di ampia distribuzione editoriale nell’ultimo decennio non ha compromesso il giudizio degli studiosi, che tendono a considerare Magia rossa un’opera di culto e un tassello fondamentale nella genesi dell’horror italiano postmoderno.

Magia rossa si configura come un romanzo “ufo” nella letteratura italiana: capace di intrecciare storia, politica e soprannaturale in una struttura narrativa complessa, anticipa le evoluzioni del genere horror su carta stampata e testimonia l’approccio eclettico di Gianfranco Manfredi. L’opera merita di essere riproposta e studiata non solo per il suo valore intrinseco, ma anche come ponte tra la Scapigliatura ottocentesca e le tendenze postmoderne degli anni ’80 e ’90. La poliedrica carriera di Manfredi, che attraversa musica, cinema, fumetto e saggistica, trova nel romanzo la sintesi più originale, in grado di parlare a più livelli di lettura e di mantenere intatto il suo fascino “magico” e sovversivo.

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