MARCELLO TONINELLI TRA ZAGOR E DYLAN DOG

L'8 giugno, nell'ambito del sempre stimolante "Etna Comics" di Catania, i redattori del "Gorgo Nero" al gran completo (I fondatoti Giuseppe Maresca e Luca Raimondi e il collaboratore ormai affezionato Roberto Azzara) hanno avuto modo di incontrare Marcello Toninelli, che i fan del fantastico ricorderanno almeno per la sceneggiatura di due albi storici di Dylan Dog (fare parte della gloriosa collezione degli ormai leggendari "primi cento" è una nota di merito non da poco), oltre che per "Agenzia Scacciamostri", serie pubblicata su "Il Giornalino" nella prima metà degli anni Novanta. La fisionomia del personaggio principale, il professor Van der Groot, nasce come prova grafica di Lord H. G. Wells, personaggio ricorrente della serie Dylan Dog. Da citare almeno la sua solida collaborazione con un'altra testata della Bonelli, quella dedicata a Zagor, su cui Maresca & Azzara si sono ampiamente soffermati nel loro saggio "Weird Zagor" (Odoya, 2023).

IL GORGO NERO: Come sei arrivato in Bonelli?

MARCELLO TONINELLI: Sono arrivato in Bonelli tramite lo studio di Gianni Bono, perché ci collaboravo dai tempi delle sexy operette; dopo che avevano chiuso avevo fatto altre cose tipo la collaborazione al settimanale “Adamo” dell’editoriale Corno. Prima che chiudesse ero capitato a salutare Bono con cui avevo rapporti diciamo cordiali e mi disse che da Bonelli cercavano uno sceneggiatore per Zagor. Ero stato per anni un lettore affezionato, l’idea di scriverlo era una specie di sogno che non avevo mai neanche sognato e che si realizzava. Mentre ero sul treno che tornavo a casa già mi inventavo i primi soggetti. Per i primi anni ho lavorato tramite lo studio, poi direttamente per l’editore.

Un sogno durato quasi 11 anni. E poi?

Dopo 11 anni sono passato a lavorare al Giornalino, con cui comunque già collaboravo e dove avevo personaggi miei, per cui quando con Bonelli e con la casa editrice e il suo modo di lavorare c’erano già cose che cominciavano a darmi fastidio, ho interrotto la collaborazione e mi sono dedicato completamente ai lavori per il settimanale delle Edizioni Paoline dove avevo più libertà e soddisfazione.

“Agenzie scacciamostri”. Come nasce l’idea?

Al Giornalino mi aveva cercato Gino D’Antonio, all’epoca responsabile dei fumetti del settimanale, aveva visto alcune mie storie su “Foxtrot”, la rivista che facevo insieme a Stefano Casini e Paolo Di Pierantonio. Casini si era offerto come collaboratore a D’Antonio per presentare le sue cose, e D’Antonio, sfogliando la rivista e visto un mio lavoro lì sopra, disse: “Dica a Toninelli di passare qui in redazione”. Mi mise subito al lavoro su quattro o cinque storielle, dette “finalini”, cioè storie autoconclusive. Proposi poi di dedicarmi a una serie e mi inventai questa Agenzia Scacciamostri. Poi, ricollegandomi a Bonelli, avevo fatto delle prove, su richiesta di Tiziano Sclavi, per disegnare “Dylan Dog”. Sia a Sclavi che a Decio Canzio andavano bene, dovevo solo correggere il viso di Dylan Dog per stare più aderente a quello di Stano. Dissero va bene, a posto, ma io mi dissi “Ma non ho tanta voglia di disegnare un personaggio che non è neanche mio, fare 96 pagine…” Per cui rinunciai. Ma nelle prove che avevo fatto avevo disegnato anche un personaggio, il professor Wells, e Sclavi quando lo vide disse “E’ proprio come lo avevo immaginato io, l’avrei voluto così”. Ma l’aveva già disegnato Dell’omo ispirato a David Niven… Chiesi “ma lo posso utilizzare per i fatti miei”? E mi dissero ok, vai. Quando al giornalino mi dissero di presentare una serie, m’inventai “Agenzia Scacciamostri”, una specie di Ghostbusters coi varchi dimensionali, alieni che piovevano da varie dimensioni e cascavano sulla terra, dove il professor Theo Vandergrot li rispediva a casa loro… una contaminazione di fantascienza e commedia. La mia vita quotidiana è basata sulla battuta, lo scherzo, l’ironia, la prima cosa che ho fatto è stata la divina commedia in chiave umoristica.

“Giorno maledetto”, albo numero 21 di Dylan Dog, è un thriller più che un horror, con un finale bellissimo, amaro, diverso dai soliti...

Il soggetto è di Sclavi… l’idea del movente dell’assassino che uccide persone apparentemente non legate fra di loro, l’aveva data a Sclavi un suo amico, mi pare un giornalista. Lui scrisse il soggetto, io la sceneggiatura, i disegni affidati a Montanari e Grassani. Quando uscì la storia cominciarono ad arrivare in redazione lettere e telefonate che dicevano “Ma l’hai copiato da un giallo di Cornell Woolrich!” e lui disse: “Porca troia! ‘Sto s***o del mio amico mi ha fatto fare una figura del cavolo…” Sclavi innestò il film con Trintignant del tizio che va in moto ad ammazzare la gente (“Appuntamento con l’assassino”, 1975, ndr). Com’è nella sua filosofia narrativa, ha fatto delle commistioni, delle pluricitazioni mescolate tra di loro.

“Riflessi di morte” è un albo piuttosto insolito per il Dylan Dog del primo periodo (il numero 44), con alcune cose estreme, una coppia che pratica il sadomasochismo, un linguaggio abbastanza esplicito, un’ironia inusuale, perché non hai continuato con storie così ricche?

Non ho più continuato con Dylan Dog, semplicemente, non era il mio genere… con Zagor ero a casa, con i mutanti, i cattivi brutti, strambi, con o senza maschere, o avventure semplici western classiche, etc… lì era a casa, nei fumetti della mia infanzia e adolescenza. A me l’horror non è mai interessato, anche al cinema io rido nel momento clou, arriva la maschera a buttarmi fuori su richiesta degli spettatori, perché quando rido, rido forte… Però Sclavi apprezzava come scrivevo, da dieci anni mi correggeva Zagor, sapeva anche le virgole del mio modo di scrivere, gli avevo scritto alcuni episodi di Kerry il Trapper, un western un po’ horror, mi chiese di aiutarlo e  da professionista ti danno un lavoro e lo fai. Una volta Bonelli in pubblico chiese scusa a Sergio Toppi per averlo fatto lavorare a Nick Raider…

Un ottimo fumetto peraltro…

Sì, ma il cui livello complessivo era considerato al di sotto delle qualità artistiche di Toppi. Eppure lui rispose, “tranquillo Sergio, io sono un professionista, mi dai un lavoro e lo faccio”. Lo stesso ho fatto io con Dylan Dog.


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