TERRORE A DARKWOOD: L'ORRORE NELLA SAGA ZAGORIANA DA NOLITTA A SCLAVI
(di ROBERTO AZZARA) - Zagor,
contrazione di Za-Gor-Te-Nay, che in un immaginario quanto improbabile dialetto
degli indiani Algonkini significa “Spirito con la scure”, nacque nel 1961 dalla
mente di Guido Nolitta, alias di Sergio Bonelli e realizzato graficamente da
Gallieno Ferri.
Seppure
i vaghi riferimenti temporali lo collochino in tale categoria, era chiaro che
le avventure di Zagor non volevano essere l’ennesima serie western della casa
editrice di Tex. Sostanzialmente Zagor nacque dalla volontà di Bonelli di
ricreare le storie con cui era cresciuto e che avevano influenzato la sua
formazione come uomo e autore, rielaborandole e adattandole al suo personaggio.
Come disse lui stesso nella lunga intervista contenuta nel saggio di Franco
Busatta Come Tex non c’è nessuno,
Zagor nacque da una commistione dei suoi generi e dei suoi fumetti più amati, una
sorta di ibrido che univa in sé caratteristiche di diversi personaggi: indossava
un costume come Superman, viveva nel profondo di una foresta come L’Uomo Mascherato,
saltava di liana in liana come Tarzan e aveva quella sorta di sesto senso che
lo avvertiva dei pericoli come Mandrake.
Zagor,
insieme al suo inseparabile compagno d’avventure Cico, si muove principalmente
nell’immaginaria foresta di Darkwood (ma non manca di girare per il mondo in
alcune apprezzati cicli di storia) nei
primi decenni del XIX secolo. Posta nel nord-est degli Stati Uniti, tra la
Pennsylvania, l’Ohio e il West Virginia, in realtà Darkwood è un luogo fuori
dal tempo e dallo spazio in cui è possibile trovare ogni tipo di scenario
avventuroso immaginabile, dalle umide paludi agli aridi deserti, dalla foresta
tropicale, con gli alberi con le liane, alle montagne innevate, dalle
sterminate praterie ai grandi fiumi, un ambiente in cui è possibile imbattersi,
oltre alle classiche tribù indiane e comunità di trapper, in samurai giapponesi
e masai africani, scienziati pazzi e astronavi aliene, castelli medievali e
valli perdute abitati da trogloditi.
Elementi
fantastici o bizzarri cominciano ad apparire sin dalle prime storie, che però
non sono scritte da Bonelli, che dopo averlo dato alla luce aveva lasciato
temporaneamente la sua creatura al disegnatore Gallieno Ferri e al padre Gian
Luigi Bonelli. In L’uomo volante, pubblicata nell’ottobre del 1961
nell’ormai scomparso formato a striscia, e scritta e disegnata da Ferri,
abbiamo un villain, Marcus, capace di volare per mezzo di un costume munito di
ali di tela. In La strega della palude nera, Gian Luigi Bonelli
introduce la strega indiana Yaska, classico personaggio del creatore di Tex che
sembra proprio uscito dalle pagine del celebre ranger. Sempre Bonelli padre,
nell’avventura successiva (Il piccolo popolo, 1963) ci mostra una valle
nascosta popolata da ragni gigantie una tribù perduta di pigmei, mentre in L’abisso
verde (1963) protagonista è un dinosauro emerso da un abisso dopo un
terremoto.
Con
il ritorno di Nolitta fa il suo esordio, nella storia L’isola della paura
(luglio 1963), il nemico numero uno di Zagor: il professor Hellingen, folle
scienziato che vuole da prassi conquistare il mondo per mezzo delle sue
invenzioni: robot giganti, avveniristici sottomarini e altre diavolerie
tecnologiche splendidamente anacronistiche. Le trame con Hellingen protagonista
sono prettamente fantascientifiche ma, soprattutto nelle storie che lo vedono
tornare, spesso assumeranno atmosfere inquietanti se non proprio horror.
La
prima avventura esplicitamente horror appare nel 1967 con La casa del
terrore[1],
memorabile storia, una delle più amate dai lettori, piena di fascino e suspense
in cui fanno capolino tutti gli elementi classici della ghost story: la
maledizione di una strega bruciata sul rogo, rumori, urla e musica che arrivano
dal nulla, apparizioni spettrali. (…) Dopo i fantasmi, Nolitta comincerà a
rivisitare nella collana tutte le figure classiche dell’horror. (…)
Hellingen! (1980) è
l’ultima avventura scritta da Nolitta per la serie regolare. Una sorta di
kolossal fantascientifico che vede il ritorno dell’arcinemico di Zagor, Hellingen
appunto, alleatosi con una razza extraterrestre intenzionata a procurarsi del
prezioso sangue umano. La storia presenta diversi spunti horror. Tutta la parte
contenuta nel primo albo (di quattro) è piena di suspense dove aleggia la
figura dello scienziato pazzo, dato per morto, pur senza mai comparire. Fino
all’arrivo della nave aliena che rapisce i nostri eroi, si respirava la
classica atmosfera nolittiana di angosciosa attesa. Nell’ultimo albo, Magia
senza tempo, inoltre, è la mummia di uno stregone indiano a consegnare allo
Spirito con la scure, durante un terrificante rito, le armi con cui sconfiggere
i malvagi extraterrestri.
Con
l’abbandono di Nolitta, alle sceneggiature della serie rimangono Tiziano
Sclavi, Giorgio Pezzin e Alfredo Castelli. Tiziano Sclavi, in particolare, è un
autore che nell’horror lascerà il segno creando nel 1986 il personaggio di
Dylan Dog. Sclavi arrivava dalle esperienze redazionali avute ne Il
Giornalino e nel Corriere dei ragazzi ed era entrato in Bonelli nel
1979 creando il personaggio di Kerry il trapper in storie che univano al
western atmosfere fantastiche e horror, pubblicate in appendice alla a Il
Comandante Mark. Ovviamente anche in Zagor dà sfogo alla sua vena weird anche
se la visionarietà della sua creatura più famosa era ancora a venire e i
lettori di Zagor non erano ancora pronti a quella stile di narrazione. È
proprio allo sceneggiatore pavese che viene affidato l’albo storico numero 200,
Il tesoro maledetto (1982)[2]
come di consueto per la casa editrice a colori, in cui nell’allucinante finale
fanno la comparsa i morti viventi, anticipando quelli che faranno da comprimari
in alcune delle storie più celebri dell’Indagatore dell’incubo. La storia vede
Digging Bill alla ricerca dell’ennesimo tesoro, in questo caso quello della
nave Discovery, scomparsa misteriosamente un secolo prima mentre risaliva in
fiume Susquehanna. Una leggenda narra che la nave riemergerà la notte del
passaggio di una cometa, evento che si verificherà proprio in quei giorni. Dopo
varie traversie, Zagor e i suoi amici trovano il luogo della scomparsa ma
assieme alla nave e al suo prezioso carico tornano dall’oblio anche i cadaveri putrefatti
dei membri dell’equipaggio, misteriosamente tornati in vita! Una storia breve
in cui il colore mette in risalto una Darkwood mai così affascinante e piena di
sfumature. Fantastica poi la scena della riemersione della Discovery dalle
acque del fiume e dell’improvvisa comparsa dell’orda di morti viventi, tavole
splendidamente illustrate dal maestro Ferri.
(…)
L’esperienza di Tiziano Sclavi con lo Spirito con la scure si chiude con Il
ritorno di Hellingen (1988)[3],
lunga e insolita avventura (composta da ben sei albi, record nella collana)
dove l’autore pavese da sfogo a tutta la sua vena surreale e grottesca,
manifestando una poetica che ha fatto fortuna del suo Dylan Dog ma
completamente inusuale nella collana di Zagor. Nonostante ciò, Sclavi riesce a
non snaturare l’eroe, catapultato in un vortice di universi paralleli, eventi shoccanti
e deliranti e atmosfere stranianti e da incubo, legate al ritorno del suo
nemico numero uno: il professor Hellingen. Come s’intuisce, non si tratta di un
classico ritorno di un cattivo storico, Sclavi sfrutta l’occasione per
riflettere sulla figura dell’eroe e del mondo che gli ruota attorno,
allontanandosi quanto più possibile dallo stile di Nolitta, fino ad allora
punto di riferimento degli autori zagoriani. Anche Ferri abbandona per una
volta la cosiddetta gabbia bonelliana, regalandoci tavole a tutta pagina e
sequenze fantasmagoriche. Il ritorno di Hellingen è rivisitazione
autoriale di Zagor ed è considerata da molti appassionati la sua storia “definitiva”,
quella che si potrà collocare all’eventuale e poco auspicabile fine della sua avventura
editoriale. La storia, come tutte quelle con Hellingen protagonista, ha più a
che fare con la fantascienza ma non mancano momenti di puro terrore: da questo
punto di vista il nome di Sclavi è una garanzia. Il professor Hellingen, nonostante
in questa la sua fine sembrasse definitiva, tornerà altre tre volte nelle
storie Ombre su Darkwood (1997), scritta da Mauro Boselli, L’eredità
di Hellingen (2015) e Mistero sul Monte Naatani (2019) scritte
invece da Moreno Burattini.
Abbiamo
scritto che Sclavi concluse la sua esperienza la storia sul ritorno di
Hellingen ma a onore del vero bisogna ricordare anche che nel 1990 firmò il
sesto albo speciale dedicato alla spalla di Zagor, il primo non scritto da
Nolitta, intitolato, manco a dirlo, Horror Cico[4].
Pur in un clima da parodia, l’autore pavese non rinunciò a introdurvi il temaricorrente
che stava facendo la fortuna della collana Dylan Dog, cioè quello di vedere il
mostro come metafora del diverso e dell’emarginato. Come in un tardo film della
Universal, vediamo qui riuniti alcune delle creature più classiche dell’horror,
dal vampiro all’uomo lupo, dal mostro di Frankenstein alle creature più
disparate (praticamente manca solo la mummia), guidati da un Cicoche dal
turbinio di battute che sciorina sembra una versione alternativa di Groucho,
l’aiutante tuttofare dell’Indagatore dell’incubo.
(…) La tradizione delle storie horror all’interno della saga zagoriana è stata portata avanti sino ai giorni nostri dagli altri curatori della collana, prima con Mauro Boselli, che vi ha introdotto elementi poco presi in considerazione dal creatore del personaggio come l’orrore cosmico di Howard P. Lovecraft o di Robert Howard, e poi da Moreno Burattini, che ha cercato di mantenersi fedele alle atmosfere nolittiane pur apportando anche lui notevoli novità, non sempre apprezzate dai lettori di vecchia data.
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