Il coraggio del "cinema dalle finestre che ridono" di Pupi Avati

Si tratta di un viaggio lineare e godibilissimo nella filmografia più eccentrica del prolifico regista, un volume a più voci (Servini di fatto ha affrontato direttamente solo tre pellicole e la produzione televisiva) che mi ha fatto riassaporare i suoi capolavori e riscoprire alcuni titoli purtroppo dimenticati o mai visti. Senza nulla togliere a queste altre pellicole rimosse ma comunque da riscoprire, rivivere la perturbante riviera romagnola di Zeder è stata una madeleine proustiana che mi ha riportato alla mia tarda adolescenza, in cui divoravo film del genere, e fatto riflettere su quanto sia difficile ambientare storie horror in Italia (nazione solare, allegra, ridanciana, la cui tradizione è legata al realismo e alla commedia) ma su quanto poco gli autori, quelli "seri", premiati, dal solido sottostrato culturale, tanto del cinema quanto della letteratura, abbiano voluto correre certi rischi e sfidare gli stereotipi e le aspettative del pubblico nostrano. Zeder in particolare è un esempio paradigmatico di film che trapianta a meraviglia certe consuetudini dell'horror, giocandosi anche un'idea originalissima (che sarà poi anche alla base del romanzo Pet Sematary di Stephen King, uno dei titoli più spaventosi dello scrittore del Maine), in un'ambientazione altrettanto innovativa. L'autore del saggio su Zeder, Fabrizio Fogliato, è abile a non soffermarsi poi soltanto su quest'aspetto legato alla location, che pure ha contribuito alla fama del film, ma a soffermarsi sulle tematiche della morte e della memoria (il nastro della macchina da scrivere come suo surrogato), che poi sono alla base anche di tanti altri film dell'autore. Un autore, lo ricordiamo, preparato e colto, che si contraddistingue per la sua capacità di ricostruire con precisione epoche storiche anche lontane (in tal senso dovreste recuperare il dvd del suo kolossal I cavalieri che fecero l'impresa, il suo commento fuori campo è vertiginoso per la qualità e quantità delle informazioni storiche snocciolate), abilità che si può apprezzare particolarmente ne L'arcano incantatore (in Italia, al solito, non se lo fila più quasi nessuno, all'estero invece Guillermo Del Toro o Quentin Tarantino lo considerano un capolavoro). Per non parlare poi dell'attenzione - davvero rara nei registi horror - riservata agli attori, basti pensare che sia il protagonista di Zeder (Gabriele Lavia) che quello de L'arcano incantatore (Carlo Cecchi), sono attori teatrali di chiara fama e non i soliti "bei faccini" dalle nulle capacità espressive.
Gli autori del libro (oltre a Fogliato citiamo Giovanni Modica, Fabio Zanello, Michele Bergantin, Corrado Artale, Aurora Auteri), ben coordinati da Servini, conducono un'indagine di rara precisione e accuratezza, ricca di spunti e curiosità, arricchita da interviste a Cesare Bastelli, Giulio Pizzirani, Roberta Paladini, Giovanni Veronesi, nonché agli attori Stefano Dionisi e Laura Morante (il primo co-protagonista de L'arcano incantatore, la seconda de Il nascondiglio). La prefazione? Dello stesso Pupi Avati, ovviamente. "Se dovessi metaforizzare il mio mondo con lo schema di una squadra di calcio, direi che Luca Servini è un trequartista che, soprattutto negli scontri più difficili, metterei in campo sempre". Un grande complimento per Servini, paragonato in sostanza a un Baggio o a un Del Piero, che arriva da uno dei maggiori autori cinematografici di sempre (ma in qualche altra occasione scriverò anche della validissima narrativa di Pupi Avati, anch'essa, come molto suo cinema, forse un po' sottovalutata).
Commenti
Posta un commento