TERRORE A DARKWOOD: L'ORRORE NELLA SAGA ZAGORIANA DA NOLITTA A SCLAVI

Il Gorgo nero ha il piacere di presentarvi un collaboratore d’eccezione, Roberto Azzara, scrittore, saggista ed esperto di cinema e letteratura fantastica i cui interessi spaziano dall’horror alla fantascienza. Con questo articolo (che è solo un estratto di un lavoro ben più ampio sull’horror nel fumetto mainstream che vedrà presto la luce editoriale) Roberto ci svela il lato oscuro di Zagor, analizzando con grande competenza e passione l’evoluzione fantastica di uno degli alfieri dell’avventura di casa Bonelli. Roberto Azzara è inoltre autore dei saggi: La fantascienza cinematografica: la seconda età dell’oro (Youcanprint, 2018) e insieme a Michele Tetro
I due volti del terrore: la narrativa horror su grande schermo (Odoya, 2020). Il suo racconto Riflessi sulla nebbia è apparso sull’antologia L’isola delle tenebre: racconti siciliani dell’orrore (Algra, 2020) ed è curatore dei seguenti blog: Altrimondi.org e LA biblioteca del cinefilo.


(di ROBERTO AZZARA) - Zagor, contrazione di Za-Gor-Te-Nay, che in un immaginario quanto improbabile dialetto degli indiani Algonkini significa “Spirito con la scure”, nacque nel 1961 dalla mente di Guido Nolitta, alias di Sergio Bonelli e realizzato graficamente da Gallieno Ferri.

Seppure i vaghi riferimenti temporali lo collochino in tale categoria, era chiaro che le avventure di Zagor non volevano essere l’ennesima serie western della casa editrice di Tex. Sostanzialmente Zagor nacque dalla volontà di Bonelli di ricreare le storie con cui era cresciuto e che avevano influenzato la sua formazione come uomo e autore, rielaborandole e adattandole al suo personaggio. Come disse lui stesso nella lunga intervista contenuta nel saggio di Franco Busatta Come Tex non c’è nessuno, Zagor nacque da una commistione dei suoi generi e dei suoi fumetti più amati, una sorta di ibrido che univa in sé caratteristiche di diversi personaggi: indossava un costume come Superman, viveva nel profondo di una foresta come L’Uomo Mascherato, saltava di liana in liana come Tarzan e aveva quella sorta di sesto senso che lo avvertiva dei pericoli come Mandrake.

Zagor, insieme al suo inseparabile compagno d’avventure Cico, si muove principalmente nell’immaginaria foresta di Darkwood (ma non manca di girare per il mondo in alcune apprezzati cicli di storia)  nei primi decenni del XIX secolo. Posta nel nord-est degli Stati Uniti, tra la Pennsylvania, l’Ohio e il West Virginia, in realtà Darkwood è un luogo fuori dal tempo e dallo spazio in cui è possibile trovare ogni tipo di scenario avventuroso immaginabile, dalle umide paludi agli aridi deserti, dalla foresta tropicale, con gli alberi con le liane, alle montagne innevate, dalle sterminate praterie ai grandi fiumi, un ambiente in cui è possibile imbattersi, oltre alle classiche tribù indiane e comunità di trapper, in samurai giapponesi e masai africani, scienziati pazzi e astronavi aliene, castelli medievali e valli perdute abitati da trogloditi.

Se come abbiamo visto, il personaggio trae spunto da vari eroi del fumetto, le sue storie sono invece spesso ispirate a quelle viste al cinema dal giovane Bonelli. (…) Gli spunti non arrivavano dal cosiddetto cinema di serie A ma, soprattutto, da quello di serie B e di “genere”. Tra questi, quelli dell’orrore, del mistero e del soprannaturale, come anche quelle di fantascienza e fantastici, non potevano mancare sulle pagine di Zagor, ispirando storie che sono rimaste nella memoria dei lettori, ancora oggi ricordate tra le migliori dell’intera saga. Quello che si vede su Zagor è un horror classico, gotico, ispirato ai film della Universal e della Hammer, quello del mostro di Frankenstein, dell’uomo lupo o di Dracula, proteso a cercare un’atmosfera di suspense di pericolo incombente e non l’effetto shock e grandguignolesco. Il New Horror di pellicole esplicite come Non aprite quella porta o Le colline hanno gli occhi era ancora a venire e Bonelli prendeva spunto da tutte quelle visioni(o letture) che l’avevano colpito da ragazzo. Solo successivamente, con l’alternarsi di altri autori a portare avanti la serie, che altre tematiche horror inedite, anche più moderne, comparvero all’interno della saga ma mai allontanandosi dal solco tracciato dal creatore del personaggio.

Elementi fantastici o bizzarri cominciano ad apparire sin dalle prime storie, che però non sono scritte da Bonelli, che dopo averlo dato alla luce aveva lasciato temporaneamente la sua creatura al disegnatore Gallieno Ferri e al padre Gian Luigi Bonelli. In L’uomo volante, pubblicata nell’ottobre del 1961 nell’ormai scomparso formato a striscia, e scritta e disegnata da Ferri, abbiamo un villain, Marcus, capace di volare per mezzo di un costume munito di ali di tela. In La strega della palude nera, Gian Luigi Bonelli introduce la strega indiana Yaska, classico personaggio del creatore di Tex che sembra proprio uscito dalle pagine del celebre ranger. Sempre Bonelli padre, nell’avventura successiva (Il piccolo popolo, 1963) ci mostra una valle nascosta popolata da ragni gigantie una tribù perduta di pigmei, mentre in L’abisso verde (1963) protagonista è un dinosauro emerso da un abisso dopo un terremoto.

Con il ritorno di Nolitta fa il suo esordio, nella storia L’isola della paura (luglio 1963), il nemico numero uno di Zagor: il professor Hellingen, folle scienziato che vuole da prassi conquistare il mondo per mezzo delle sue invenzioni: robot giganti, avveniristici sottomarini e altre diavolerie tecnologiche splendidamente anacronistiche. Le trame con Hellingen protagonista sono prettamente fantascientifiche ma, soprattutto nelle storie che lo vedono tornare, spesso assumeranno atmosfere inquietanti se non proprio horror.

La prima avventura esplicitamente horror appare nel 1967 con La casa del terrore[1], memorabile storia, una delle più amate dai lettori, piena di fascino e suspense in cui fanno capolino tutti gli elementi classici della ghost story: la maledizione di una strega bruciata sul rogo, rumori, urla e musica che arrivano dal nulla, apparizioni spettrali. (…) Dopo i fantasmi, Nolitta comincerà a rivisitare nella collana tutte le figure classiche dell’horror. (…)

Hellingen! (1980) è l’ultima avventura scritta da Nolitta per la serie regolare. Una sorta di kolossal fantascientifico che vede il ritorno dell’arcinemico di Zagor, Hellingen appunto, alleatosi con una razza extraterrestre intenzionata a procurarsi del prezioso sangue umano. La storia presenta diversi spunti horror. Tutta la parte contenuta nel primo albo (di quattro) è piena di suspense dove aleggia la figura dello scienziato pazzo, dato per morto, pur senza mai comparire. Fino all’arrivo della nave aliena che rapisce i nostri eroi, si respirava la classica atmosfera nolittiana di angosciosa attesa. Nell’ultimo albo, Magia senza tempo, inoltre, è la mummia di uno stregone indiano a consegnare allo Spirito con la scure, durante un terrificante rito, le armi con cui sconfiggere i malvagi extraterrestri.

Con l’abbandono di Nolitta, alle sceneggiature della serie rimangono Tiziano Sclavi, Giorgio Pezzin e Alfredo Castelli. Tiziano Sclavi, in particolare, è un autore che nell’horror lascerà il segno creando nel 1986 il personaggio di Dylan Dog. Sclavi arrivava dalle esperienze redazionali avute ne Il Giornalino e nel Corriere dei ragazzi ed era entrato in Bonelli nel 1979 creando il personaggio di Kerry il trapper in storie che univano al western atmosfere fantastiche e horror, pubblicate in appendice alla a Il Comandante Mark. Ovviamente anche in Zagor dà sfogo alla sua vena weird anche se la visionarietà della sua creatura più famosa era ancora a venire e i lettori di Zagor non erano ancora pronti a quella stile di narrazione. È proprio allo sceneggiatore pavese che viene affidato l’albo storico numero 200, Il tesoro maledetto (1982)[2] come di consueto per la casa editrice a colori, in cui nell’allucinante finale fanno la comparsa i morti viventi, anticipando quelli che faranno da comprimari in alcune delle storie più celebri dell’Indagatore dell’incubo. La storia vede Digging Bill alla ricerca dell’ennesimo tesoro, in questo caso quello della nave Discovery, scomparsa misteriosamente un secolo prima mentre risaliva in fiume Susquehanna. Una leggenda narra che la nave riemergerà la notte del passaggio di una cometa, evento che si verificherà proprio in quei giorni. Dopo varie traversie, Zagor e i suoi amici trovano il luogo della scomparsa ma assieme alla nave e al suo prezioso carico tornano dall’oblio anche i cadaveri putrefatti dei membri dell’equipaggio, misteriosamente tornati in vita! Una storia breve in cui il colore mette in risalto una Darkwood mai così affascinante e piena di sfumature. Fantastica poi la scena della riemersione della Discovery dalle acque del fiume e dell’improvvisa comparsa dell’orda di morti viventi, tavole splendidamente illustrate dal maestro Ferri.

(…) L’esperienza di Tiziano Sclavi con lo Spirito con la scure si chiude con Il ritorno di Hellingen (1988)[3], lunga e insolita avventura (composta da ben sei albi, record nella collana) dove l’autore pavese da sfogo a tutta la sua vena surreale e grottesca, manifestando una poetica che ha fatto fortuna del suo Dylan Dog ma completamente inusuale nella collana di Zagor. Nonostante ciò, Sclavi riesce a non snaturare l’eroe, catapultato in un vortice di universi paralleli, eventi shoccanti e deliranti e atmosfere stranianti e da incubo, legate al ritorno del suo nemico numero uno: il professor Hellingen. Come s’intuisce, non si tratta di un classico ritorno di un cattivo storico, Sclavi sfrutta l’occasione per riflettere sulla figura dell’eroe e del mondo che gli ruota attorno, allontanandosi quanto più possibile dallo stile di Nolitta, fino ad allora punto di riferimento degli autori zagoriani. Anche Ferri abbandona per una volta la cosiddetta gabbia bonelliana, regalandoci tavole a tutta pagina e sequenze fantasmagoriche. Il ritorno di Hellingen è rivisitazione autoriale di Zagor ed è considerata da molti appassionati la sua storia “definitiva”, quella che si potrà collocare all’eventuale e poco auspicabile fine della sua avventura editoriale. La storia, come tutte quelle con Hellingen protagonista, ha più a che fare con la fantascienza ma non mancano momenti di puro terrore: da questo punto di vista il nome di Sclavi è una garanzia. Il professor Hellingen, nonostante in questa la sua fine sembrasse definitiva, tornerà altre tre volte nelle storie Ombre su Darkwood (1997), scritta da Mauro Boselli, L’eredità di Hellingen (2015) e Mistero sul Monte Naatani (2019) scritte invece da Moreno Burattini.

Abbiamo scritto che Sclavi concluse la sua esperienza la storia sul ritorno di Hellingen ma a onore del vero bisogna ricordare anche che nel 1990 firmò il sesto albo speciale dedicato alla spalla di Zagor, il primo non scritto da Nolitta, intitolato, manco a dirlo, Horror Cico[4]. Pur in un clima da parodia, l’autore pavese non rinunciò a introdurvi il temaricorrente che stava facendo la fortuna della collana Dylan Dog, cioè quello di vedere il mostro come metafora del diverso e dell’emarginato. Come in un tardo film della Universal, vediamo qui riuniti alcune delle creature più classiche dell’horror, dal vampiro all’uomo lupo, dal mostro di Frankenstein alle creature più disparate (praticamente manca solo la mummia), guidati da un Cicoche dal turbinio di battute che sciorina sembra una versione alternativa di Groucho, l’aiutante tuttofare dell’Indagatore dell’incubo.

 

(…) La tradizione delle storie horror all’interno della saga zagoriana è stata portata avanti sino ai giorni nostri dagli altri curatori della collana, prima con Mauro Boselli, che vi ha introdotto elementi poco presi in considerazione dal creatore del personaggio come l’orrore cosmico di Howard P. Lovecraft o di Robert Howard, e poi da Moreno Burattini, che ha cercato di mantenersi fedele alle atmosfere nolittiane pur apportando anche lui notevoli novità, non sempre apprezzate dai lettori di vecchia data.



[1]ZENITH 83-85, ZAGOR 32-34

[2] ZENITH 251, TUTTOZAGOR 200

[3]ZENITH 326-331 (275-280)

[4]SPECIALE CICO 6

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